Buongiorno a tutti!
finalmente eccomi qui con il post che tempo fa vi avevo promesso, ossia quello che riguardava la mia versione di commento alla poesia del brano del nuovo cd dei Nightwish, la cui anima è Tuomas Holopainen, e che compare per primo all’ascolto dell’album. Questa musica per me è un’eccezionale sinfonia di poesia, emozioni, pensiero e vibrazioni… Pertanto premetto che non potrò che trasmettervi tutta la mia passione per questo artista che ritengo superlativo. Che altro aggiungere?! Partiamo subito!
Partiamo con le indicazioni del video e del testo con la traduzione che ho effettuato e che trovate qui di seguito:
– link al video (prima di qualsiasi disquisizione è pur sempre meglio godersi il brano, non trovate? Buon ascolto!), https://youtu.be/see_TY5ANEc
– traduzione con testo a fronte, Shudder Before The Beautiful- testo + traduzione in pdf. Si tratta di una traduzione che ho fatto ex novo per me stessa e per questo blog, e ai fini di una mia interiorizzazione nonché scrittura dell’articolo in questione; si sa le traduzioni derivano TUTTE da interpretazioni personali e filtri posti dal soggetto traducente, a meno che non siate voi stessi gli autori del brano oppure vi troviate esattamente all’interno della testa di questi ultimi! Dato che tra quelle disponibili non ce n’era una che mi soddisfacesse, per un motivo o per l’altro, ne ho scritta una mia.
E dopo aver ascoltato il brano e letto il testo, ecco qui che giunge il momento di commentarlo…
Ad introdurre il brano vi è una caratteristica molto comune nello stile di Holopainen, ovvero quella di iniziare la canzone senza la musica, ma solamente con una narrazione-citazione: come se si trattasse di un estratto verbale letto e sussurrato. In questo caso la frase pronunciata attraverso le parole dello scienziato evoluzionista Richard Dawkins (molto stimato da Holopainen che si è letto gran parte delle opere dello scienziato, tanto da contattarlo personalmente per proporgli questa “parte” oratoria, a mio parere ben riuscita), prende a prestito una celebre frase tratta da «L’origine della specie» di Charles Darwin e riferita, nello specifico, alla descrizione dell’evoluzione di un antenato comune sino ad arrivare a tutti gli esseri viventi attuali. Questo per dirla molto, ma molto in breve. Questa citazione mi ricorda i grandi poeti del passato che inserivano all’interno delle loro opere le citazioni di rimando ad altri artisti, e quindi la identifico col nome di “collegamento poetico” che esprime quell’universalità della poesia unita alla sua quasi impossibilità di sinonimia: si sa che la poesia a differenza della prosa non prevede l’esistenza di sinonimi per quello che concerne i contenuti, in quanto un termine viene scelto al posto di un altro per la sua forma che, in quanto tale, veicola essa stessa un preciso ed inconfondibile contenuto. Di conseguenza, o si decide di prendere la citazione originale per come è, oppure la si partorisce dalla propria creatività. Insomma, per i poeti sembrerebbero non esistere le mezze misure! Ma veniamo al contenuto… Il brano esordisce con questa citazione “Il conforto più profondo risiede nella comprensione/questo antico flusso invisibile/è il brivido dinnanzi alla bellezza“. Ma qual è lo scopo della sua presenza all’inizio e ai fini della poesia di questa canzone? Per quello che ho avuto modo di capire essa introdurrebbe la Bellezza, protagonista indiscussa del brano e già ripresa nel titolo. Il brivido dinnanzi alla Bellezza è proprio un flusso invisibile, antico, forse tanto quanto la storia dell’essere umano (eureka, ecco da dove Tuomas ha pescato Darwin e l’origine della specie!). Flusso che nient’altro sarebbe se non la comprensione: un po’ come a dire che la comprensione, nel senso di conoscenza, costituisce un conforto. A sua volta però essa è anche il preludio alla Bellezza, la soglia che ad essa conduce, il brivido dinnanzi alla stessa! La comprensione trattata alla stessa stregua di un brivido prima di alzare i nostri timidi quanto curiosi occhi verso la Bellezza? E se le cose stanno così, cosa è allora la Bellezza? Può avere forse a che fare con la verità di noi stessi? Con la Verità del mondo e delle sue leggi? Con la Realtà del mondo?
Proseguiamo… Il soggetto che ritorna protagonista di questa poesia è l’Oceanborn (= il nato dall’oceano, che io ho tradotto con ‘creatura nata dall’oceano’; certo la mia è una forma un po’ più arzigogolata e lunga ma secondo me andava inserito un sostantivo, e, dato che già è stata citata la Creazione, quale modo migliore di tradurre questo Oceanborn se non esplicitando che si tratta di una Creatura?!). Parlo di ritorno perché questo termine e questo soggetto già erano stati i protagonisti di un vero e proprio album che recava questo nome come titolo; per la precisione si tratta del secondo e altrettanto elusivo album interpretato dalla superba cantante lirica Tarja Turunen. La differenza tra i due Oceanborn? Forse quello dell’album più “anziano” è una creatura nata dall’oceano che mira ad una ricerca più mistica, spirituale, più indefinita ed ambigua (forse proprio per il mistero che la circonda e con il quale essa recepisce il mondo che le sta attorno), e permeata talvolta da una dose maggiore di superstizione e religione, con un mix di esoterismo e tradizione religiosa che si confondono; si tratta insomma di una creatura non ancora totalmente ben definita ma pienamente avvolta nel Velo di Maya che assume le sembianze dell’oceano da cui emerge (la copertina del relativo album reca proprio una figura femminile affiorare dalle acque e che si specchia nell’occhio del mondo con la “testimonianza” degli altri pianeti). Questo lo possiamo affermare in ragione di ciò che ci suggerisce la raffigurazione femminile dell’Oceanborn in copertina, perché se ci si concentra sul brano Devil and the Dark Deep Ocean (facente parte dello stesso album) parrebbe che la creatura nata dall’oceano in questione sia un essere crudele, tenebroso, un diavolo appunto, i cui inferi sono le oscure profondità marine; si dà il caso che il demone sia oscuro, abissale ed ignoto come l’oceano, il quale ha lo scopo di far sprofondare in sè le vite delle sue vittime, ex strumenti di male. In questa accezione dunque l’oceano è il luogo del terrore, dell’ignoto, del male e pertanto ecco da dove proviene l’ambiguità che contraddistingue questa figura all’interno di questo contesto. Ma nel brano di oggi l’Oceanborn, oltre ad identificare un personaggio positivo a pieno titolo, mi sembra anche un soggetto più definito, chiaro, concreto, agente (nel senso che agisce, o comunque è spinto all’azione). Si tratta dello stesso soggetto del precedente album? Questo Oceanborn rimanda alla figura femminile della copertina, la nata dall’oceano, o al diavolo che mieteva vittime e si compiaceva della loro morte? O magari intende essere un compendio di entrambi? Del resto in ognuno di noi c’è la Bella e anche la Bestia, il Bene e anche il Male, quindi perché non possono coesistere entrambi e prevalere, a tratti, ora l’uno ora l’altro, mano a mano che si svolge la nostra evoluzione?
Riapprodiamo ora a dove eravamo rimasti all’interno di questo vero e proprio brano che inizia con il succo narrante ad opera di Holopainen e che viene avviato dalla splendida voce, per il momento ancora un po’ sommessa, di Floor Jansen. Esso risulta iniziare con un’esortazione a SVEGLIARSI riferita all’Oceanborn appunto! E in cosa consiste lo svegliarsi? Beh lo specificano le parole seguenti che individuano tre punti:
1) ammira questa forza; ammirazione che implica conoscenza e riconoscimento, nonché accettazione della forza.
2) Porta l’esterno dentro di te; si tratta del secondo passaggio, e cioè quello dell’interiorizzazione, arricchimento e integrazione delle proprie qualità. Noi tutti siamo un filtro, in particolar modo il poeta, che si fa portatore ed interprete del linguaggio universale. Il fatto di portare l’esterno dentro di sé celebra quella capacità di contenere le cose a noi esterne, sopportarle, com-prenderle e quindi “prenderle dentro” di noi recependole ed integrandole col nostro Sé e lasciando fuori ciò che non lo rispecchia, nè lo manifesta.
3) Fai esplodere il Sé sino a manifestarlo: e con quest’ultimo punto vi è l’epifania, ovvero la manifestazione dell’apice dell’essenza dell’Oceanborn, dopo aver interiorizzato, compreso ed accettato chi è ed aver integrato il mondo esteriore in quello della propria interiorità, nasce un terzo mondo. E’ il mondo dell’essenza, della propria originalità, che risulta l’atto estroversivo di conferma della propria identità più profonda!
Di seguito, nel testo troviamo una verità che si vuole porre come assoluta, e che, se notate, arriva dopo quella verità singolare e soggettiva dell’Oceanborn. Si tratta della vera essenza della vita, che per l’autore di questo testo è ascendere sempre più (e quindi in maniera sempre crescente) in verità e luce. Insomma qui vi è un inno allo scopo della vita: viene data la direzione all’Oceanborn. Prima le indicazioni per ESSERE e poi quelle di DOVE ANDARE PER POTERSI MANIFESTARE! Non vi sembra già a questo punto una celebrazione del Creato?! Perchè forse è proprio in questa ascesa che risiede la Bellezza… alla quale fa da cornice una musica, si, la musica dello stupore che ne consegue e che si veste delle sembianze di un silenzio profondo, tanto profondo da risultare assordante, insostenibile! Wow, che fantastico e potente ossimoro! Già perché si tratta di un’inondazione acustica di amore, quasi impossibile da reggere: uno stupore silenzioso che risuona di infinito amore… E’ il preludio della presentazione della Terra (e con essa tutto il genere umano) che fa capolino in qualità di “isola vagabonda”, pellegrina che si fa carico di ogni singolo essere umano il quale rappresenta il viaggiatore che si meraviglia di fronte alla grandezza, bellezza e pienezza del Creato! Ancora una volta con la differenza che ora questo stupore provoca nel viaggiatore stesso un moto dall’interno, un brivido di reazione a cotanta abbondanza sia di qualità che di quantità delle due caratteristiche di Bellezza e Pienezza!
Arriviamo ora ad una strofa che sinceramente mi suscita un po’ di dubbi, nel senso che ho avuto delle difficoltà a ricollegarne i concetti al leitmotiv dell’intero brano. Specifico inoltre che il testo originale su cui mi sono basata per la traduzione è quello dell’album, e non ho scaricato il file da Internet: infatti ho notato che ci sono dei termini diversi tra la versione originale e la sua controparte “internettiana” e quindi mi sono attenuta all’originale. E veniamo quindi a questo mistero: le storie dai mari, i racconti dalle profondità di questi specchi d’acqua potrebbero celare un qualche legame che ha a che fare con le origini dell’Oceanborn, ma quando parla della ‘cattedrale di verde’, a cosa si riferisce? Si sa, i fondali oceanici sono delle verdi distese, ma addirittura riferirsi ad essi con l’epiteto di cattedrali mi sembra un po’ troppo grandioso e strano, a meno che questo non sia stato fatto per indicare la sacralità della storia e delle origini dell’Oceanborn; allora, forse, in questo caso tutto assumerebbe un collegamento più coerente con il resto del testo! Ed ho ragione a pensarlo perché la parte che segue è il ritornello che decanta l’essenza della vita e dello stupore di fronte al suo scopo così sublime indicato proprio dall’altra strofa (quella principale) di ritorno, la quale richiama alla mente la musica di quello stupore (stupore di fronte alla propria essenza?). Al termine di questa strofa ecco un’altro elemento di novità: l’ignoto, il grande spettacolo, il coro di stelle, la recita interstellare: tutti elementi introdotti in maniera diversa anche a livello di tecnica musicale con un motivo di coralità. N.B.: in questa prima parte di elenco si noti come ogni riga sia dedicata a un sostantivo che regna su di essa, a parte per l’unico aggettivo presente che è ‘interstellare’ e che comunque rimanda ad un oltre, ad un al di là! Ecco poi calare il sipario di nebulosa che richiama il concetto teatrale di ‘recita interstellare’ e che prelude all’immagine di evoluzione chimica delle galassie e quindi dell’universo. Ora, a tal proposito si va oltre l’immagine della stella, si procede nell’interstellare sino a comprendere la nebulosa, che altro non è che uno spogliarsi di una stella morente di tutto il superfluo che restituisce al medium interstellare. Insomma, l’immagine che si vuol dare qui è quella teatrale di uno spettacolo della natura e della creazione, talmente grandioso da sembrare istrionico, e quindi tale da assumere, appunto, i tratti di una recita! Affatto! Quello che segue è immaginazione, evoluzione e un’immagine eloquente di questa evoluzione: una specie di una valle che peregrina alla ricerca delle proprie origini, ovvero di ciò che viene altrimenti detto come “fonte del racconto”. Ecco l’immagine della ricerca di sé che credo accomuni gli albori dell’evoluzione: insomma, secondo me è un po’ come se l’autore sostenesse che l’evoluzione nasce quando iniziamo a chiederci chi siamo, da dove veniamo (mentre il dove andiamo è un passaggio che arriva in seguito, ma che comunque è un altro “perché” alla base del processo evolutivo). Quanto mi piace questo passo! E ci credete se insinuo che secondo me Holopainen è un ricercatore spirituale nella sua poesia? Beh, in questo pezzo di brano secondo me si mette a nudo in questa sua visione e ricerca a cui è approdato, e lo fa in maniera semplice, ma non semplicistica, con la naturalezza dell’indagine, anche se magari tralascia un po’ di inserire quello slancio che ha dato la motivazione a quella specie di mettersi alla ricerca delle proprie origini. Ecco forse manca un po’ quel misticismo di cui sembra essersi spogliato in quest’album, che ritengo sia più concentrato sull’indagine scientifico-biologica, che mistica o spirituale… O magari no? Non saranno mica le stelle e lo sconosciuto, FORSE, a rappresentare il punto di partenza mistico per questa ricerca che apparentemente suona essere più una ricerca di carattere bio-logico? Chissà…
Giungiamo ora al termine del brano musicale con le due strofe di ritornello che si ripetono e che ripetono l’esistenza di quell’assordante melodia di silenzio profondo, con l’unica differenza che, se nei ritornelli precedenti si era parlato di un “silenzio tra le note”, stavolta si introduce il “silenzio e le note” che svolgono la funzione di assordare con il loro silenzio! E pertanto arrivati al termine del processo evolutivo, anche le note musicali si vestirebbero di un assordante silenzio, così profondo da sovrastare il mondo visibile di Maya e da permetterci di andare oltre al nostro interno, nelle profondità del nostro essere.
Perché quel brivido dinnanzi alla Bellezza da cos’altro può essere accompagnato se non dall’unico compagno degno della sua presenza, e che prende il nome di “silenzio”?! Silenzio, sì: un silenzio di meraviglia, di stupore, di comprensione… e di molto altro… Proprio così: in sostanza parrebbe proprio un elusivo silenzio dell’Indicibile, dell’Infinito, dell’Inverosimile che è la Realtà! Verità, Bellezza e Realtà: ecco ciò di cui Tuomas forse ci ha voluto parlare, sussurrare, e deliziare con questo suo exploit poetico. Ma forse resta ancora insondata una domanda che riporta al titolo: perché mai dovremmo provare il brivido di fronte alla Bellezza? Forse che la Bellezza, allo stesso modo della paura, ci parla di una qualcosa che all’opposto di questa non abbiamo mai visto, nè sperimentato, che ci possiamo solo immaginare e che pur tuttavia è di una forza così incredibile da farci sussultare?! Il brivido, del resto, è pure sempre una reazione fisica che proviene dall’interno, per cui è un moto interiore provocato dalla Bellezza, un forte e significativo moto interiore: uno scossone che ci fa tremare dalle viscere della nostra interiorità e che forse ci dà l’indizio del fatto che alla Bellezza non si può restare indifferenti? E poi: che Tuomas sia caduto nella trappola dell’evoluzionismo per parlarci di Evoluzione? O può darsi che abbia voluto tendere a noi un tranello? E se in effetti evoluzionismo ed evoluzione fossero due aspetti complementari così come lo sono il Bene e il Male, la Bella e la Bestia, e l’Oceanborn nelle sue due vesti agli antipodi?
Voi che ne pensate?
Alla prossima!