Buongiorno a tutti,
oggi stavo riflettendo sulla frase “gli altri siamo noi“, altrimenti espressa anche nei termini di “gli altri sono un nostro specchio“, “quello che ti può dar fastidio in un altro è perché risuona anche in te/è qualcosa di tuo“, e simili. A tal proposito mi sono letteralmente fioccate una serie di considerazioni tra le quali ne spicca una che ritrovo per me particolare: è stato un pensiero chiaro che si è manifestato nella forma di una frase, a guidarmi nel ragionamento che successivamente andrò a presentare; e cioè che “il modo in una una persona tratta gli altri, è lo stesso in cui tratta sé stessa“. Ho deciso di dividere l’articolo in due parti: nella prima sarà dato spazio all’analisi di una frase che ha innescato il ragionamento e alle considerazioni alle quali mi ha portato, mentre la seconda è più di carattere personale ed ha come oggetto la questione delle proiezioni, del sentito, della questione io = altri, con riferimenti all’identità di sé e degli altri. Ma procediamo con ordine, buona lettura!
Come appena anticipato, a dare l’input a questa serie di riflessioni è stato un episodio nel quale una persona mi ha enunciato la sua considerazione sul suo rapporto di coppia e lo ha definito nei seguenti termini: “in una coppia siccome è la donna che dà tutto, deve pretendere dall’uomo altrettanto a livello materiale (soldi, casa, vita agiata, etc)“. Devo dire che questa frase mi ha fatto un po’ ghiacciare il sangue nelle vene (metaforicamente parlando), perché oltre a trovarla permeata di una vena femminista frustrata assurda, la trovo anche emanatrice di una cupa infelicità sia di per sé, che nel momento in cui è stata pronunciata. Esprime anche come certi concetti che ci vengono buttati addosso da questa società si manifestano in quei soggetti che li assorbono acriticamente. Questa ovviamente è stata l’opinione che ho riscontrato emergere in me stessa: l’ho considerato un pensiero lontano da me, irrispettoso, ma che ho comunque compreso, dandogli un senso. Quanto al mio sentito, invece, lì per lì ho avuto un moto di delusione. Delusione perché mi sono chiesta il motivo per cui esistono ancora convinzioni di questo tipo nella teste di alcune persone… Lentamente la delusione ha lasciato spazio ad una incapacità di provare emozioni… e a molto altro, quanto a pensieri, parole e chi più ne ha, più ne metta! (N.B.: tutti elementi dell’ego però! Ho notato infatti che mentre scrivo ho un approccio più morbido all’intera questione, ma al momento di quel discorso ho riconosciuto, in ritardo, uno scontro di ego, ovvero delle personalità). Insomma, come potete capire questa frase non mi ha di sicuro lasciato indifferente, soprattutto in ragione del senso di giustizia e del rispetto; per me non si è trattato di dire che uomini e donne sono uguali: no, sono diversi, eccome se lo sono! Ma entrambi quando si trovano in una relazione, secondo me, meritano il rispetto reciproco e trovo la pretesa una sporca e subdola violenza, nonché una vile mancanza di rispetto dell’identità dell’altro come essere umano. A questo punto, sarei curiosa di sapere che reazione suscita in voi una simile sentenza di morte, che siate maschi o femmine…
Dalla delusione iniziale sono poi partite ulteriori considerazioni… Considerazioni sul ruolo che l’aspettativa, la pretesa, il senso di scambio, il rapporto tra dare e ricevere hanno per questa persona, ma soprattutto mi sono chiesta: ma UNA PERSONA CHE PARLA COSI’, che RAZZA DI RAPPORTO DEVE AVERE CON SE’ STESSA? Che TIPO DI ESPERIENZE devono avere spinto a queste considerazioni quella persona? Quanta SOFFERENZA c’è, c’è stata nella vita di quella persona per ridurla a parlare in questo modo? E quanta sofferenza ancora la attende?
Non nego che a livello sottile arrivavano onde di odio misto a repressione e profonda infelicità; non verso di me ovviamente, ma che costituivano il condimento di quel commento, servito quasi come un dessert che aveva la pretesa di sfoggiare superbe tinte amaro-piccanti… Da precisare che questa frase è uscita dalla bocca di una persona che non ha ancora trovato il proprio scopo nella vita (questo è un dato di fatto, ve lo posso assicurare, non è un’affermazione di critica della persona, ma un elemento di descrizione della sua personalità, per fornire maggior contesto a chi legge e fornire una panoramica con più elementi possibili di analizzare la situazione): infatti è permeata di elementi di immaturità, stagnazione, confusione, impossibilità a procedere (passività) e vittimismo. Ma vediamo singolarmente questi elementi a cui darò un nome diverso in relazione ad un discorso più ampio che voglio intavolare.
1) GENERALIZZARE: ho elaborato che, quando si fa della generalizzazione il proprio modus vivendi e modus operandi, non solo ci si estranea dalla realtà delle cose (perché la realtà prevede che tutto sia diverso e con un proprio scopo, insomma una delle regole dell’universo sarebbe proprio “a ciascuno il suo”!), ma si rivela anche la propria insicurezza. Infatti generalizzare è come dire: “io so che tutte le donne sono così e allora… TAC!”, si crede di avere la soluzione in base a quella “regola” che si crede generale! Peccato che per le persone non sia così… Ognuno ha le proprie esperienze, il proprio vissuto, da integrare con la propria personalità. Certo di base le donne hanno determinate caratteristiche che le accomunano a livello fisico in primis, psicologico ed anche emotivo, o meglio determinate STRUTTURE che sono diverse da quelle dell’uomo. Ma poi il contenuto di quelle strutture è dato da ciò che la persona ci mette dentro! In poche parole, è sempre l’essenza che fa la differenza! Generalizzare fa male a chi generalizza. E’ un sintomo di un tumore relazionale. Una relazione malata con sé stessi, che poi si manifesta anche con gli altri, perché non può fare a meno di creare relazioni esterne sul riflesso di quelle interne.
2) Chi PRETENDE, ha in sé una visione distorta dello scambio, ovvero del rapporto tra il dare ed il ricevere. Sappiamo tutti bene quanto ci possano far piacere le sorprese, i regali inaspettati… c’è chi non vive senza e c’è chi invece riesce a rimanere distaccato persino di fronte alla più grandiosa delle meraviglie! Ad ogni modo, quale che sia la sua reazione, di certo si sentirà arricchito di qualcosa, perché qualcosa gli è stato dato. All’opposto vi è il dare: c’è chi ha piacere a fare regali. Chi si sente già appagato solo dando (forse la forma più sublime di felicità). Chi invece si sente sempre in debito, o ancora chi crede di dover sempre dare e non ricevere mai. Beh, tutto dipende dalla direzione in cui siamo proiettati e da cosa abbiamo dentro. Se di base siamo già felici, non cercheremo in qualcosa o in qualcun’altro un appagamento. Se siamo vuoti e non abbiamo un appiglio interiore, dei valori in cui credere e fondare la nostra vita, qualcosa che ci riempia dall’interno, cercheremo nutrimento all’esterno. Ma bada bene, la sicurezza non esiste all’esterno! Tu sei per te stesso la tua sicurezza, 365 giorni l’anno, diceva qualcuno di talmente Grande da essermi rimasto impresso con questa frase, che ora vi passo come un testimone. In altre parole chi pretende, da un lato si crea un’immagine irreale del mondo, perché non agisce in armonia con esso, ma pone davanti il proprio ricevere. Dato che siamo tutti a servizio dell’Universo, che è più grande di noi, noi siamo posti a suo servizio e pertanto non possiamo avere proprio nessuna pretesa. Dall’altro lato la pretesa è una forma di violenza: io pretendo che una persona mi dia qualcosa e quindi la forzo, la costringo, con parole o azioni a darmi quella cosa che voglio. Lo faccio, cioè contro la sua volontà e se non è un’azione spontanea, naturale, ne pagherò le conseguenze. Nella violenza privo l’altro del suo volere, antepongo il mio e quindi creo costrizione. La violenza è il contrario della libertà; la violenza non ammette accettazione, né rispetto. Violenza e coercizione incatenano e imprigionano. E limitano forza ed energia… La violenza è egoismo, la violenza è ignoranza ed ottusità… Inoltre chi pretende è totalmente proiettato verso l’altro; anziché ripiegarsi su di sé per studiarsi, migliorarsi e DARE, è rivolto agli altri per prendere a più non posso (N.B nemmeno ricevere, ma addirittura pretendere!), dimenticandosi che nel nostro mondo solo i neonati e gli ammalati possono ricevere senza poter dare nulla in cambio, perché la loro condizione gli consente solo di fare questo… Attenzione a chi pretende dunque, perché l’uomo sano e pieno di energia, dà, non può far altro che dare: la pretesa è la spia di qualcosa che non va, dal vampirismo a tutto il resto!
3) Chi considera delle relazioni affettive allo stesso modo di quelle lavorative, e non DISTINGUE i tipi di rapporto si trova in un chiaro stato di confusione del sentito/vissuto biologico sui tre piani: in parole povere, non riesce a distinguere i propri pensieri dalle proprie emozioni e nemmeno dalle proprie pulsioni. Insomma, non ha cognizione di chi è, ma pretende di averla: inganna sé stesso, perché non vuole vedere la propria miseria, però è pronto a riconoscerla subito negli altri, facendoli sentire in colpa per questo… Anche questa è una forma di violenza, ma soprattutto incapacità ed ignoranza. Ignoranza perché non si sa come fare a, e incapacità perché non si è in grado di operare una distinzione tra un tipo di rapporto ed un altro. Il modo in cui tratto un cliente sarà diverso (si spera!) dal modo in cui tratto il mio partner. E’ il tipo di relazione che richiede una diversa modalità di approccio. Eppure quante volte l’amor terricolo (ovvero il tipo di attaccamento materiale ad una persona, indegno di esser chiamato con il più sublime dei sentimenti) pretende, usa violenza, e soprattutto viene scambiato per una transazione commerciale? Chi stabilisce che nell’amore uno dà più dell’altro? Qual è la misura, nell’Amore, del dare e del ricevere? Ma soprattutto: l’Amore è dare e ricevere? Oppure non si tratta forse di un Dare col Ricevere già incluso? (L’Amore, con la A maiuscola non si pone proprio la questione di dare e ricevere, perché E’ entrambi!) Eh, l’attaccamento terricolo, scambiato per amore è un desiderio di possesso immaturo, destinato a portare infelicità perché il suo destino è la degradazione. L’attaccamento è stagnazione, è mantenere uno status quo, ovvero la propria zona di comfort… In questo senso, si trasferisce un tipo di relazione ad un’altra e si usano ad esempio gli stessi meccanismi di un tipo di relazione (quella lavorativa, ad esempio), anche in una relazione che richiede altro (come può essere quella affettiva). Ed è così che si creano i casini! A ciascuno il suo, dunque! Occorre saper distinguere che tipo di relazioni vogliamo creare per rivestirle della giusta energia e sopratutto per dar loro una direzione! Come si fa a creare dei rapporti alla cieca e a considerarli tutti mossi dalle stesse dinamiche? Attenzione anche a questo! La chiarezza, prima di tutto. E’ da qui che poi possiamo fare le distinzioni.
4) Ed infine di una cosa non ho ancora parlato: il vittimismo. Beh altro argomentone che posso solo introdurre ma che davvero merita un post a sé perché il vittimismo è un atteggiamento, o meglio uno stile di vita. E’ anch’esso una modalità con la quale si è totalmente proiettati sull’altro e ci si deresponsabilizza dichiaratamente. In altre parole la vittima è immatura, sempre innocente (a detta propria) e sempre oggetto degli attacchi degli altri suoi persecutori. Perché l’ho inserito in questo discorso? Perché la famosa frase oggetto di questo articolo ha anche delle sfumature di vittimismo: è stata una donna a pronunciarla. Una donna che pronuncia una frase femminista contro gli uomini, colpevoli a detta sua di non “dare abbastanza”, ma che, come si deduce, hanno in potenza la capacità di sfruttarla, appunto proprio perché non le danno “abbastanza”… beh si pone su un piano di realtà distorto, ancora una volta… Si pone a vittima chi in realtà è il vero carnefice di sé stesso. Del resto ricordiamo che il vittimismo è parente stretto della lamentela. A voi le vostre conclusioni!
Questo è un esempio tratto dalla mia vita quotidiana. Preciso che lo scopo è quello di analizzare una frase che per me è infelice e partire dal modo di esprimersi per lavorare su di sé per chi lo desidera. So che la persona alla quale è uscita di bocca questa frase non leggerà mai questo articolo, semplicemente perché non le interessa farlo e non mostra un minimo interesse all’argomento che vi presento. Va bene, siamo diversi e non a tutti possono interessare le stesse cose. Preciso che ad ogni modo, sebbene abbia criticato il suo pensiero, questa persona è degna del mio rispetto: le descrizioni sulla sua personalità le ho scritte solo come indicazione, non certo per additarla come “sbagliata”! Semmai ci sono dei punti discutibili che riguardano il suo approccio alla vita, che, come avrete capito, non condivido per nulla, anche se posso comprendere il motivo per cui ha adottato questa mentalità! Nonostante tutto, “mai dire mai”, anche se una pera, nella sua essenza resta sempre una pera, per quanto possa apparire più soda o flaccida, più o meno permeata di macchie e/o buchi: che sia matura, acerba o marcia, sempre una pera resta. E non potrà diventare una banana. Questo per dire che la propria natura/essenza non si cambia, l’essenza resta, per quanto la sua forma esteriore possa trarre in inganno oppure farla apparire diversa. Col tempo se una pera di mette gli abiti di una banana la si smaschererà! Eppure, se ben coltivate, sia la pera che la banana possono rivelarsi dei buonissimi frutti! Si può però decidere di quale colore dipingere il frutto della vostra essenza: se delle tinte fosche dell’ignoranza, oppure dei tenui e luminosi colori nei quali si distingue un bellissimo disegno dai mille personaggi.
E questo è quanto… ho voluto esprimere il mio pensiero magari colorandolo talvolta con colori più decisi e forti, altre volte con colori più tenui e soffusi. Resta comunque una MIA composizione, che potrà o meno trovare riscontro in qualcuno di voi. La mia speranza è che questa piccola tela non rimanga indifferente a chi la guarda, anche solo di sfuggita…
Grazie! Alla prossima, con la naturale continuazione di questo argomento…