E poi capita una fresca sera d’estate… una sera in cui vorresti andare al cinema a vedere un film in buona compagnia… una sera in cui vorresti stare spensierata con la persona a cui vuoi bene e goderti semplicemente un film… startene tranquilla insomma… E INVECE CAPITA CHE TI DEVI RICREDERE! Perché l’imprevisto coglie sempre di sorpresa quando per un attimo si molla la presa dell’attenzione, della presenza e della veglia, e si cade addormentati.
Con questa premessa spero di avervi dotato della giusta dose di curiosità e spirito d’avventura per invogliarvi a leggere oltre. Ne vale davvero la pena e spero sia così anche per voi, dopo che avrete letto sino alla fine. Ciò di cui voglio parlare oggi sono delle piccole osservazioni sulle reazioni; osservazioni che vanno fatte proprio in maniera neutra ed obbiettiva, senza omettere nulla a sé stessi, nella piena onestà. Si tratta altresì di uno spunto sul MODO di osservare. Spero di riuscire a rendervi l’idea, ma ora non voglio fare la guastafeste anticipandovi altro: buona lettura e anche buona avventura!
Ebbene… iniziamo dal principio, che già di per sé è tutto un programma. Ho esordito introducendo il racconto di una serata al cinema. Si arriva alle casse giusto con quei 3 minuti di anticipo prima che inizi il film. In fila alla biglietteria c’è poca gente, capirai sono quasi tutti inscatolati nelle loro poltrone in sala… Nel delirio/confusione mentale delle persone, si sa, non si può prevedere cosa possa balenare, e così io e lui ci mettiamo in fila. Nella fila parallela ci stanno circa sei persone confuse che parlano, altri invece sono impegnati a prendere biglietti. La coppia che ci si affianca guarda se mettersi nella fila scelta da noi, oppure nell’altra. In quel MENTRE, quando hai le idee chiare e ti stai per andare a prendere quel benedetto biglietto, arriva lei, la P.I. che, presa dalla fretta di dover effettuare la prenotazione, di dirti il posto e di dover fare il suo lavoro di macchina (di cui non si rende conto nemmeno se le punti una pistola alle tempie!) ti si rivolge molto sgarbatamente e in maniera irritante dicendo di sbrigarti ad avvicinarti al bancone della biglietteria. O meglio, il tono è quello, il tono della P.I: la puttanella isterica. (Ovviamente i toni che sto usando sono scherzosi ed adatti al contesto! Non me ne abbiate se sembra una caduta di stile, ma per liberarsi dalle identificazioni e dal giudizio sono necessari anche questi metodi, a maggior ragione per chi, come la sottoscritta, ha un attaccamento smisurato per il controllo di sé e degli altri! Troppa fedeltà ad uno stile può limitare un individuo, impedendogli di scoprire altre innumerevoli modalità espressive…)
Così, nell’indecisione, o meglio nell’attesa di un mezzo secondo, noi abbiamo la precedenza. E che precedenza? Quale chiamata! La chiamata per l’inferno? La chiamata della disperazione? No… la chiamata di una MACCHINA, e, nello specifico, di una macchina reattiva! Già perché se quel lavoro venisse svolto da una macchina, perlomeno sarebbe più veloce, senza assenza di giudizio, e senza emotività, nel senso che una macchina vera e propria non ti riverserebbe addosso la sua emotività malata, dato che ne è priva! Invece, questa “cosa”, questo “ibrido” che pretende di essere un essere umano incarna tutta la peggior mancanza di rispetto che si possa avere quando si lavora in contesti simili. Il risultato della mancanza di rispetto è la violenza, come ben sapete! Ed infatti, lì per lì, ho assistito anche alla mia trasformazione interna in macchina: infatti una parte di me è insorta con uno spadone suggerendomi caldamente di dargliene fino a farla stramazzare al suolo! La soluzione più facile: eliminare ciò che dà fastidio e che fa male. Questa mia parte interiore ha usato toni coloriti per riferirsi a questo soggetto che aveva le sembianze della bigliettaia, attribuendole appunto, fra i tanti, l’epiteto di “puttanella isterica”, giusto per portarle il dovuto rispetto. Già perché poi diventa una catena di pensieri in cui un giudizio si allaccia all’altro e lo attira e fa da rimorchiatore per qualcos’altro fatto della stessa sostanza… Ma perché? Cosa è successo esattamente?
Bene, se facciamo un passo indietro, un piccolo rewind sulla scena arriviamo al momento in cui io mi sorprendo dormire, nella mia meccanicità di recarmi a fare una fila. Presa dalla frenesia del momento, dalla fretta che assale anche me, non pongo attenzione a me stessa, ma qualcosa accade proprio in quel momento. Infatti è allora che tra me la P.I in versione bigliettaia c’è uno scambio di sguardi, breve ma inequivocabile. La sua espressione richiama la P.I. che è al mio interno: tra puttanelle isteriche ci si intende, aggiungerei! E così la parte meccanica è stata risvegliata in un momento in cui mi sono lasciata andare alla meccanicità, ed è stata chiamata ad interagire con chi, in quel momento, ha fatto lo specchio della mia parte meccanica! Insomma l’aberrante mancanza di rispetto che ho riscontrato nella bigliettaia era un sentimento che ben riconosco far parte di me; alla fine quella mancanza di rispetto era (ed è) anche mia in un certo senso, se ha risuonato in maniera così forte da provocarmi il fastidio! Già perché quando ci si sente in un particolare stato d’animo, a disagio ad esempio, la “colpa” o meglio responsabilità, non è mai di chi lo ha provocato, ma di chi, fattosi preda del sonno, ha permesso che l’altro gli si rivolgesse in quel determinato modo. E perché la signorina bigliettaia mi si è rivolta in quella maniera? Non era forse più semplice che mi riservasse la dovuta gentilezza del caso? Beh, se lasciamo perdere la questione delle aspettative (io mi aspettavo da lei la dovuta gentilezza che fa parte del suo lavoro), c’è ben altro: c’è anche la persona come essere umano, e di certo non come essere umano nella sua forma migliore, ma l’essere umano da trasformare, l’essere umano IN ME da trasformare!
Anche chi ormai fa del lavoro su di sé non è detto che sia immune dall’identificazione e dalla reazione, anzi potrebbe cadere nel sonno con maggiore facilità per il rischio di dare parecchie cose per scontate! Vedete?! Un attimo di distrazione e/o debolezza e la puttanella isterica vi coinvolge nel suo cerchio fatto di mancanza di rispetto, arroganza, rabbia, frustrazione e molto altro (sempre tutta roba meccanica). Ma perché questo? Forse perché dentro di me ancora questi sentimenti e questioni alle quali essi si collegano, non sono ancora stati risolti… Forse perché c’è ancora molto da scremare e da ripulire, da togliere, rimuovere, scrostare, etc etc. E tutto questo col fine ultimo di trasformare, sublimare, rendere un semplice uomo un vero Uomo, Individuo, Essere Umano. Ma questo compito è individuale e spetta al singolo, a patto che lo voglia davvero, s’intende!
In effetti se vi sentite offesi, la reazione interna è vostra, ed è vostro, ed esclusivamente vostro, il compito di saperla tenere a bada, o meglio ancora, giungere a non manifestarla più perché, dato che si è riusciti a trasformarla, non vi è più la necessità di manifestarla! In effetti, che utilità può avere il fatto di dar manforte ad un comportamento sbagliato dettato da inconsapevolezza e meccanicità? Se un uomo giunge ad un livello di sufficiente consapevolezza non potrà venire preso dalla morsa di queste “provocazioni esterne” che non fanno altro che rubare energia preziosa a chi si sta impegnando per divenire Uomo e non restare una macchina. Un vero Uomo non ha nemmeno più bisogno di queste provocazioni, perché anche qualora fossero presenti, egli non le interpreterebbe come tali ed esse perderebbero la loro carica/ funzione. Eppure, se queste provocazioni esistono è per svolgere la loro funzione. Servono per farci interrogare… servono per riflettere… servono per approfondire… servono per farci conoscere e sperimentare… servono per vivere questa vita…
Servono per TRASFORMARCI! E quindi vanno ascoltate, vissute, comprese e capite, sempre con molta pazienza ed umiltà, ma soprattutto con perseveranza, impegno e voglia di rimettersi di nuovo in gioco, senza mollare la presa. Se mollassimo la presa cadremmo nel baratro della meccanicità, e in essa ci perderemmo. Dipende tutto da cosa vogliamo… Qualcosa che ci permetta di trasformarci e diventare migliori, oppure la tranquillità della staticità che comunque ci fa permanere sempre nello stesso spazio interno ed esterno? Cosa scegliamo: la Vita o il l’Oblio?