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arte, autorità, casta, commento, commento al testo e alla canzone, DeboleFantasia, la paura come scelta, lotta e ribellione come aspetti maschili, necrocrazia maschile, poesia come aspetto femminile, potere, schiavitù e repressione, scontro tra generazioni?, speranza, tortura, traduzione, Tuomas Holopainen, violenza
Ed eccoci con il secondo brano (in ordine di comparsa ufficiale sul relativo album) della serie di canzoni appartenenti ad Endless Forms Most Beautiful! Si tratta di un pezzo che si apre con una intro musicale che vede uniti al suo interno il tono lugubre ad uno che prelude ad una certa solennità; insomma, l’intro precede i contenuti che hanno a che fare con una solennità che si tinge di morte. E’ abbastanza inquietante come preludio, ma mai così inquietante quanto le parole e le tematiche affrontate nel testo vero e proprio. Andiamo per ordine…
Qui potete trovare il link al brano https://youtu.be/0FhOaKcOJmw e se aprite quest’altro documento c’è il relativo testo con la traduzione che ne ho fatto: Weak Fantasy – testo + traduzione .
La canzone di per sè è introdotta da un deciso ed aggressivo ritmo a rullo di tamburi, tra il solenne, il mistico e il misterioso. Il contenuto del testo ha a che fare, come vedremo a breve più in dettaglio, con le questioni di potere ed autorità, le relazioni che essi hanno con la magia, la schiavitù e quant’altro. A mio parere sembra quasi una metafora di ciò a cui l’uomo ha sempre aspirato e delle difficoltà di un’umanità al cui interno si assiste alla presenza di sostanziali differenze tra l’una e l’altra “casta”. Già perché anche solamente limitandosi a leggere il testo del brano non si può non pensare a questo concetto! Per di più ad un certo punto viene proprio espresso il relativo termine, il che ne esplicita l’idea. Va precisato che questa, assieme e poche altre canzoni dell’album, non è stata interamente ed esclusivamente scritta da Holopainen, ma ha visto la stesura a quattro mani con Marko Hietala, altro membro “storico” della band. Questo va precisato perché almeno per quello che mi riguarda sento una certa influenza esterna che un po’ si differenzia dallo spirito unicamente holopaineniano e che contribuisce ad introdurvi note più forti, tinte più fosche e macabre, quasi belliche… ma forse è solo una mia impressione! Ad ogni modo è uno dei brani dai quali obiettivamente emerge l’idea di lotta, ribellione contro un potere costituito e questo lo rende abbastanza permeato di quell’elemento “maschile”, aspetto che io trovo complementare all’elegante femminilità della poesia di cui si fa portatore Holopainen, e che, in un certo senso vi si sposa.
Venendo al brano vero e proprio diciamo che le prime parole di cui si veste questa melodia inesorabile dell’intro ci parlano di storie, che sono date a tutti noi e riempite di sacrificio e bramosìa. A quali storie si riferiranno gli autori? Beh potrebbero essere le storie che vengono propinate quotidianamente all’umanità (le menzogne sociali), si dà il caso che siano vestite di bramosìa (sete di potere) e piene di sacrificio (forse il sacrificio della verità? O il sacrificio di chi si rivela vittima di queste menzogne sociali?)… In questo caso azzardo un’ipotesi che mi sembra la più consona a come ho interpretato il testo in questione, poi chissà, magari gli autori non l’avevano nemmeno in mente! Di certo, se pensiamo che qualsiasi grande opera artistica è (o dovrebbe essere) figlia del proprio tempo, non possiamo prescindere dal luogo e dal tempo che hanno dato i natali ad una determinata generazione e pertanto ho fatto questi collegamenti di cui sopra e di cui sotto. Proseguendo con il testo troviamo degli altri soggetti protagonisti di questa poesia cantata: cori dissonanti, occhi remissivi e l’ego di un primate altezzoso. Beh direi che non è mica male come strofa, riempita quasi esclusivamente di soggetti! I cori dissonanti, se prendiamo per vera la mia interpretazione iniziale, si potrebbero riferire al dissenso che è presente all’interno di una società, mentre gli occhi remissivi a quegli occhi di coloro che tra i dissidenti subiscono la castrazione e l’abuso ad opera di un potere che essi non riconoscono tale. Cos’altro fare quindi se non dirigere gli occhi a terra, dato che verso l’alto ci pensa già il primate altezzoso ad indirizzarli? O meglio, egli guarda o pretende di guardare dall’alto della propria alterigia, ma la direzione in cui egli guarda, a ben vedere, non è verso l’alto ma verso il basso, verso coloro che pretende di dominare. Forse l’alterigia porta a questo; e cioè che quanto più in alto ci si pone, sempre in basso alla fine si guarda. Viceversa, gli occhi remissivi, costretti a guardare in basso possono comunque sollevarsi, e non solo per guardare il tiranno, ma anche per osare trapassagli oltre con la spada del proprio sguardo alla ricerca di una verità che il tiranno non può nemmeno osare sperare di promettere! Eh, spesso l’ego può giocare brutti scherzi… La strofa successiva è ancora più interessante se contestualizzata ai giorni nostri in quanto parla di un potere estorto con la violenza sia fisica (troviamo il termine “sangue” che rimanda alle vittime sacrificali in disaccordo con un sovrano tiranno), che psicologica (con la frase ‘a lui piace che tu dimori nella paura e nel peccato‘). Ecco in queste due strofe erigersi questa metafora della società che vede capi e servi, e la tortura associata alla violenza, quali strumenti per mantenere lo status quo di un potere frutto dell’ego. All’interno di questa metafora si può notare anche la presenza non di Uomini, ma di animali. Il soggetto infatti è un primate, non un uomo ma un animale, per di più dotato di ego: beh cos’altro inferire da ciò se non il fatto che questa situazione di voglia di predominio altro non è che da relegare ad una condizione animale?! Oltre a ciò il primate altezzoso ci ricorda la nostra sempiterna natura animale che si fa presuntuosa e altezzosa perché assume (o pretende di assumere) le sembianze di uomo necrofilo, o meglio animale necrofilo che pretende di erigersi a sovrano in qualità di una corona forgiata nelle peggio nefandezze che rendono l’uomo la peggiore delle bestie… Del resto cos’altro può essere un sovrano che adora la repressione dei ‘piegati’ che governa e che auspica alla loro morte in funzione della propria vita?
Eppure nonostante questo scenario apocalittico per l’umanità forse c’è ancora speranza… E la speranza deriva dalla scelta, in quanto la paura è una scelta. Possiamo quindi decidere se avere paura oppure no… Beh questo concetto lo trovo fortemente attuale e qui la poesia assume un tratto estremamente rivoluzionario introducendo questo elemento di novità che è collegato poi alla strofa che segue e che contiene un mix di speranza e consolazione. Innanzitutto emerge la parola ‘verità’: la tua unica verità associata all’arte e alla magia (arti magiche) di poesia tribale e stregoneria. La funzione di queste arti però non è la realizzazione disinteressata, ma un riempimento di un vuoto: ecco il punto! Ecco cioè ciò che non mi torna del tutto: ovvero la funzione dell’arte relegata a riempire un vuoto che forse sarebbe troppo duro da sopportare… O magari perché spinto e sospinto dalla brama di fantasia che auspicherebbe una necrocrazia maschile… La brama di fantasia è un altro motore, e potente peraltro, dell’individuo ai fini di affermare la propria verità. Ciò a cui però viene tesa è una necrocrazia maschile, la quale fa assumere ai fini della verità stessa delle tinte fosche imbrattate di morte. Non solo: con il termine necrocrazia maschile si possono anche inferire dei cenni alla repressione del femminile sacro o comunque si fa riferimento all’egemonia di una società repressiva del maschile che sottomette il femminile, e al contempo fa regnare un principio maschile in cui vige la morte. Ammiro la capacità di trovare e coniare termini nuovi ed inserirli all’interno del testo in una maniera così poetica. L’abilità degli artisti è davvero di tutto rispetto! Ad ogni modo, data la svolta del tutto ‘mortifera’ della strofa in questione, va anche tenuta in considerazione la presenza della compensazione del vuoto con un’arte di magia nera che lascia il tempo che trova. Si perché a tal proposito le arti magiche vengono relegate a ‘stregoneria’ e quindi pesantemente vilipese nel loro ruolo più ampio. Ma si può anche notare l’emergere del ruolo della fantasia, che peraltro rappresenta il tema preponderante di questo brano (in effetti è quella che dà il titolo!): che posto occupa la fantasia all’interno di una necrocrazia? A tal proposito ho elaborato una riflessione che prende in considerazione la complementarietà (ancora una volta) di maschile e femminile; e cioè che il ruolo preponderante del maschile aggressivo va a discapito della femminile evanescenza e delicatezza della fantasia che, stando così le cose, si tinge di debolezza. E di qui ecco anche spiegato il titolo…
D’altronde in una società repressiva quale posto potrà mai occupare la fantasia? E la creatività? E cos’altro potrà regnarvi se non una rigida necrocrazia? Queste le mie riflessioni. Ma ad un certo punto come non tenere in considerazione la speranza? La presenza indefessa della speranza emerge ancora una volta con una frase decretata a pieni polmoni e che fa asserire che “ogni bambino è degno di una storia migliore“. Che la fantasia fosse legata alla figura del bambino, portatore di innocenza e incorruttibilità, forse lo si era un po’ intravisto anche in altre canzoni dell’artista. Il fatto di rafforzarne il concetto attraverso il termine ‘esser degno’, ne reclama il fatto di averne il diritto, e quindi il fatto di meritare una storia migliore: la propria storia di bambino, la quale prevede non da ultima la fantasia! Ed ecco allora che viene concesso un menù della fantasia: una possibilità di scelta. Si, peccato che questa scelta non sia in tutto e per tutto reale, dato che è limitata a quel menù, peraltro contrassegnato da sofferenza e schiavitù… Ancora una volta il sogno fantastico di una libertà di scelta non si realizza in quanto emerge di nuovo la verità della propria condizione di schiavi: si vive per i giorni a venire spazzando la sporcizia della casta superiore…
Eppure occorrerebbe forse rendersi conto di chi detiene quelle redini, di chi è la testa incoronata di quel sovrano… E ciò viene rivelato nella strofa seguente quando si parla di una bocca sorridente in una testa in decomposizione: insomma quello di cui si parla qui è un governo morto e marcito. Esso prosciuga il capezzolo dello spaventato del suddito che è ridotto a pelle e ossa dallo spavento. Questo sadico ed avido potere, non ancora contento, prosciuga fino allo stremo il suddito-schiavo con l’abuso dei propri poteri sino a “ciucciargli” anche l’invisibile! Eppure, ancora una volta, le figure che in seguito compaiono sono degli affamati narratori (e quindi ancora la fantasia) che fanno la loro comparsa, chissà forse per dare speranza… Come dei bambini (a questo proposito mi viene ben in mente l’immagine pascoliana del poeta-fanciullino; chissà cosa ne pensa Holopainen a riguardo?), questi narratori hanno dei giocattoli: unico motivo di vanto rimasto loro. Ed ecco ripetersi il ritornello che termina con la speranza e l’augurio che ogni bambino sia degno di una storia migliore.
La parte finale vede la presenza di un atteggiamento di rifiuto nei confronti della guerra dei mondi, oggetto del disprezzo di questo gruppo di narratori… Ad essere sincera questa terzultima strofa mi lascia un po’ perplessa riguardo al suo signoficato in quanto non riesco ad individuarlo con nitidezza. Se è vero che parla della guerra dei mondi, resta da chiarire quali mondi: forse si riferisce al mondo dei sovrani contro quello dei sudditi? Al mondo dei padroni contro quello degli schiavi? Il testo prosegue con l’espressione dalle menzogne, la forza del nostro amore: che io interpreto come messaggio di speranza. Speranza che però vacilla al comparire di quanto segue e cioè l’espressione latte materno avvelenato per questo neonato. Ora che questo latte materno si riferisca al nutrimento con cui una generazione cresce quella che la segue ci può anche stare, ma allora forse alla luce di questo la guerra di cui sopra cos’altro potrebbe assumere se non i connotati di uno scontro tra generazioni?!
L’epilogo però vede il poeta/narratore che si riferisce direttamente a quel bambino intimandogli di svegliarsi perché ha una storia da raccontargli. Beh, ciò risulta alquanto strano, dato che le storie, le favole solitamente si raccontano per far addormentare i bambini! Però può darsi che in questo caso l’obiettivo sia quello di svegliare con una storia quel bambino, anziché quello di addormentare gli animi come forse si proponeva di fare quel latte materno avvelenato della/nella generazione precedente… D’altronde si tratta pur sempre di una debole fantasia (di cui si fa portatore il bambino), che per il poeta va risvegliata e nutrita (le metafore di menù e nutrimento si possono scorgere qua e là nel testo), affinchè ogni bambino sia degno di una storia migliore a confronto di quella di schiavitù che gli si presenta all’interno di una necrocrazia maschile fondata sull’ego di animali!
Ebbene, lungi dall’essere un resoconto critico vi ho proposto la mia versione di commento al testo in questione con il quale mi sono dilettata non solo nella traduzione (piacevolissima, peraltro!) ma anche in una interpretazione del significato che ahimè ho trovato piuttosto ermetico. Ermetico ma non impossibile… perché forse tutto sta nell’avvicinarsi all’anima della poesia.
Ed io spero di esserci riuscita almeno un po’…. alla prossima!