Buongiorno a tutti!
Questa mattina dopo che il grido del buon pastore mi ha letteralmente “buttata” giù del letto, mi sono venuti a trovare dei pensieri… dopo il brusco e rumoroso risveglio, lentamente, come un soffio, dei pensieri hanno alitato su di me richiamando qualcosa al mio interno; un qualcosa che ha subito catturato la mia attenzione facendo in modo che io gli prestassi ascolto. Curioso notare come, dopo il grido intimatore del pastore che ordinava alla pecore di affrettarsi per la loro strada, la mia mente sia stata dapprima “impressa” con questo tipo di esperienza uditiva piuttosto scioccante e poi richiamata da qualcos’altro di più sottile, mano a mano che quel forte grido scemava e lasciava spazio ad altro… Di cosa si tratta?
Beh, innanzitutto riflettevo sul fatto che spesso ci troviamo a subìre o ad essere protagonisti di grida assurde: per farci ascoltare, per far sapere al mondo che ci siamo anche noi, per auto-legittimare la nostra importanza, e così via. Il grido però resta qualcosa di esterno, di estremamente superficiale, per quanto “forte” possa essere, di qualcosa che è destinato a lasciare il tempo che trova sebbene possa magari produrre uno shock iniziale in chi ascolta, ma poi, cosa resta? Non è importante il grido in sé, ma ciò di cui esso si fa portatore, quello da cui viene accompagnato e ciò che trasmette… E spesso, almeno per quello che mi riguarda, le urla e le grida disperate portano con sé davvero tanta tristezza, rabbia, repressione, voglia di sfogarsi, e altre di quelle sub-emozioni di cui già ho accennato nell’articolo dal titolo ‘La dittatura delle emozioni‘. Urlando si porta all’esterno, si manifesta, si fa fuoriuscire, si esprime qualcosa di incontenibile internamente, che non può più venire incluso nella persona, tanto che questa si trova a reagire urlando, dando come risposta al disagio che prova e allo stato che lo interessa interiormente, le grida. L’urlo è frutto del caos, dell’incomprensione che trova nella vibrazione caotica la propria valvola di sfogo. L’urlo è disperazione… eppure è anche un modo, il modo forse più superficiale ed immediato, di dare voce alle proprie emozioni/ sub-emozioni/ stati d’animo /stati interiori.
Ma forse riusciamo a farci un’idea migliore dell’urlo quando andiamo ad approfondire un altro concetto: quello di richiamo. Ecco, il richiamo è quell’eco sottile, trasformato, dell’urlo (potremmo quasi pensare che si tratti di due facce della stessa medaglia!). Il richiamo parla sottovoce, è quasi silenzioso, eppure c’è. Esso ha una forza magnetica ed attrattiva incredibile: con poco (ossia con una lieve forza uditiva) manifesta dei fenomeni incredibili (ad esempio, polarizza l’attenzione, la cattura, la dirige, e poi può far addirittura agire le persone!). Ecco quindi che se il richiamo può, in maniera quasi invisibile e impercettibile, portare le persone ad agire, come se queste fossero spinte da una forza impalpabile, ma comunque POTENTE, il grido è come se fosse “tutto fumo e niente arrosto”, perché con tanto (tanto rumore, tanta voglia di farsi sentire, con le sue forti impressioni uditive), non riesce però a raggiungere la profondità delle cose e si dissolve nella superficie, fino a diventare qualcos’altro… Non solo: il grido può anche paralizzare le persone! Quante volte può capitare che a seguito di un “fermo lì”, “attento!!”, “non ti azzardare a…”, e altre intimazioni, ordini o semplicemente delle frasi che ci vengono dette in compagnia di un grido o di urla, abbiamo la sensazione che ci si geli il sangue nelle vene?! Oppure si tratta di frasi che hanno come effetto quello di bloccarci, di fermarci nei nostri propositi di fare qualcosa, o smettere di fare qualcosa… Un altro esempio molto efficace e che può capitare di frequente è questo: quando ti fanno uno scherzo e cercano di spaventarti urlando un “AAAH!” quando meno te lo aspetti, alle spalle… Beh, io più volte ho rischiato di rimetterci la pelle dallo spavento che mi son presa! L’Urlo porta ad irrigidimento, ad un blocco di energia e di tutto quello che ne consegue…
Il richiamo invece, beh è come un filo invisibile che ci porta alla matassa originaria, facendoci avvolgere piano piano ed amorevolmente attorno ad essa…E più restiamo in quel richiamo più veniamo condotti, inevitabilmente (in ragione di quella forza arcana e profonda) alla matrice, alla matassa che è sostanza e forma al tempo stesso, è tutto il filo che si è avvolto durante il cammino percorso, è il prodotto finito ma anche l’insieme dei processi che hanno portato ad ottenerlo, in silenzio, con pazienza, forza, impegno, volontà, coraggio, ordine e determinazione… Mi piace pensare a questo concetto in questi termini, che ve ne pare? Ho reso bene l’idea con la metafora della matassa?
Urlo e richiamo… il delirio caotico e la quiete ordinata… Il primo generatore di caos e fine a sé stesso, per quanto liberatorio possa apparire. Il secondo invisibile alle orecchie e impalpabile nella sua consistenza, ma estremamente potente e magnetico a livello sottile, muove le cose, genera un ordine interno ed esterno, CREA!
Spesso quando si urla lo si fa per dare sfogo a ciò che si ha dentro, che non si è compreso, del quale ci si vuole liberare e che non si vuole ascoltare, comprendere, accettare… perché fa troppo male, perché è fastidioso, perché è scomodo… E allora, come si fa con l’immondizia, si getta questa “merda interiore” nel sacchetto delle grida e la si butta via, la si allontana da sé, nel “cassonetto” del mondo! Ehhhh! Fosse davvero così semplice liberarsi dei fastidi che ci assillano. Evidentemente però se abbiamo la percezione che questi fastidi ci assillino, dovremmo prestare loro ascolto, andare in profondità, sino a percepire il non detto! Ciò che non riesce ad uscire, ecco il punto! E’ lì che si dovrebbe arrivare… E ciò non ha forse a che fare con il richiamo, così sottile e impercettibile da sembrare qualcosa di non detto?!
C’è però un “problema” o meglio una questione su cui focalizzarsi. Infatti, oggi, alle cose impercettibili, impalpabili, al non detto ci è stato insegnato di non dare importanza. Per contro ci è stato insegnato, per comodità, a considerare degno di ascolto e attenzione solo ciò che manifesta con forza la propria Forza, a ciò che VISIBILMENTE si impone e sovrasta il nostro campo visivo, a ciò che, in modo un po’ baroccheggiante, estenua i nostri sensi a tal punto da farci dire “Ok ti riconosco”, solo perché presi dallo sfinimento sensoriale! Ebbene, la forma manifesta la sostanza: vediamo l’esempio del corpo, che manifesta la nostra essenza, il nostro essere. Il corpo è la forma che esprime il nostro essere ed è visibile. per cui anche la forma è importante, per comprendere il contenuto. Se però la forma viene disgiunta da quest’ultimo e presa a valore assoluto ecco che c’è qualcosa che non va! Per continuare con questo esempio, ma senza voler scendere in banalità, pensiamo al culto del corpo ad esempio. Se sfinisco il mio corpo (con chirurgia, esercizi fisici, alimentazione estrema) per voler raggiungere una forma fisica sulla scia del “culturista” (giusto per fare un esempio bello consistente!), capiamo che si tratta di un’esagerazione: qui la persona vive per il corpo, è quest’ultimo a dettare le leggi e a governare la vita della persona, o perlomeno la maggior parte degli aspetti della vita della persona. Ma quale sarebbe allora un atteggiamento sano col proprio corpo?
Posto il fatto che ciascuno dovrebbe trovare il proprio sano rapporto col corpo, va sottolineato che l’essere umano non è composto solo da quello: il corpo è una manifestazione ed è in collegamento con le altre parti che ci contraddistinguono (ossia mente ed emozioni). Se mentre faccio degli esercizi resto presente alle sensazioni che prova il mio corpo (il calore, il dolore, la fatica, il sudore, la gioia, l’euforia, il piacere del movimento, i pensieri che mi visitano mentre mi alleno, la sensazione di stare bene o quella di aver scaricato il surplus di tensione, etc etc), senza pretese e sforzi insopportabili per il corpo stesso, beh allora la cosa è diversa! Se resto presente al mio corpo, lo considero manifestazione della mia anima, lo accetto e faccio degli sforzi per migliorarlo (sforzi ma senza pretese disumane, ovvero nel rispetto del corpo stesso), resto con lui mentre mi alleno, con la sua integralità, e lo considero uno strumento di Conoscenza, beh allora la prospettiva stessa è diversa. Con questo approccio, mi sintonizzerò su di un piano più sottile e profondo, che mi metterà in contatto con i richiami, le percezioni, i messaggi subliminali dei recessi dell’anima! Non è meraviglioso?!
Questo per dire che il richiamo è anche unione, mentre con l’urlo mi limito a disgiungere a separare la sensazione dall’essere che l’ha prodotta. Il richiamo, attraverso la sua pacatezza, fa esattamente il contrario: riporta il soggetto che ha prodotto quella sensazione /stato d’animo/ emozione o sub-emozione che sia, alla matrice della stessa, dove tutto si è prodotto. Ma lo fa in maniera dolce, graduale, accompagnata dalla comprensione, con amorevolezza… Del resto, non lo sentite anche nel suono stesso delle parole?! Urlo! E’ veloce, brusco, repentino, duro… Richiamo, invece suona come un qualcosa di continuativo, graduale, dolce, lento….
Insomma, ogni tanto perché non allenarsi nell’ascolto dei richiami che permeano la nostra Vita, la nostra quotidianità, anziché decidere di subìre urla che non hanno nulla da comunicare, ma tanto da sfogare?!
Oggi ho imparato che anche dalle grida dei Pastori si può osservare ed imparare molto!