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condanna, evoluzione, Leggi dell'Universo, masochismo statico, Natura, Nietzsche, repetita iuvant, ripetizione, salto quantico, teoria dell'eterno ritorno
Tutti conoscerete il famoso detto latino che recita “repetita iuvant”, tradotto con ‘le cose ripetute aiutano’. Per me questa frase ha costellato quasi ogni giornata trascorsa alle scuole superiori, sicché ce l’ho ben presente quando il professore per giustificare la sua tendenza a ripetersi o la tendenza al ripetersi dei concetti, non perdeva l’occasione di sfoggiare la sua formazione latina. Sta di fatto che ripetere all’infinito qualcosa potrà di certo esser d’aiuto, ma alla lunga stanca e depaupera di energia vitale. Eppure, in taluni casi, anzi a dir la verità molto spesso, sembra quasi che le persone si aggrappino al fatto di fare sempre le stesse cose, dire sempre le stesse cose, mettere in moto le stesse dinamiche, affezionarsi allo stesso vizio e restargli fedeli per una vita! Certo, l’abitudine può rappresentare una sicurezza da un certo punto di vista, ma la ripetizione all’infinito, per chi aspira all’evoluzione rappresenta più una stasi, uno stare fermi, una perdita di tempo. Insomma, il vecchiume non ha più motivo di esistere per chi mira all’evoluzione, pena il marcire del suo essere.
Come avrete quindi intuito, oggi voglio parlarvi della ripetizione ai fini dell’evoluzione. Già perché questo è imprescindibile ai fini della comprensione di un’esperienza! Mi spiego: se non riesco a comprendere un’esperienza, ed in sostanza quell’esperienza non cambia nulla in me e non mi fa imparare nulla di sostanziale sarò costretto a ripeterla all’infinito sino a quando non sarò riuscito a fare quel salto utile per me in quel momento per passare alla fase successiva. Avete mai visto dinamiche che si ripetono? Ad esempio storie che sembrano sempre le stesse? Vi sembra mai che in certi periodi della vita incontriate sempre persone di un determinato tipo, tanto da domandarvi se siano state fatte con lo stampino? La ripetizione può quindi riguardare storie d’amore: chi non ha mai incontrato il malcapitato vittima di turno che si lamenta dicendo sempre la classica frase: ma tutte a me capitano? Perché non trovo mai “quella giusta”? In effetti le relazioni, in particolare quelle affettive, sono ricettacoli delle nostre emozioni più profonde, e pertanto sono quelle che in maniera più diffusa esprimono delle dinamiche profonde ed ormai interiorizzate sulle quali noi non abbiamo più il controllo, ma che mettiamo in moto in maniera meccanica. Un altro esempio potrebbe essere dato da situazioni che estraggono da noi il peggio di cui siamo capaci. Ebbene, in questo tipo di situazioni se rispondiamo sempre manifestando il peggio di noi stessi senza giungere a qualcosa di costruttivo, di nuovo, la situazione viene protratta all’infinito fino a che non si cambia modo di rispondere a quello stimolo che la stessa ha innescato.
Un tale meccanismo è riconducibile alla teoria eterno ritorno (con le differenze del caso); un concetto già presente nella filosofia antica e ripreso in tempi più recenti da Nietzsche. Per definizione (mi avvalgo dell’Enciclopedia Treccani, giusto per avere una fonte attendibile di riferimento) l’eterno ritorno è “una concezione speculativa e cosmologica secondo la quale, il corso degli eventi del mondo, compiuto il proprio ciclo, ritorna su sé stesso in una serie indefinita di identiche ripetizioni…” Si noti che ciò di cui parlo ora in questo articolo e la teoria dell’eterno ritorno sono due concetti diversi ma con un unico comune denominatore: la ripetizione e il senso da essa svolto. Se la teoria dell’eterno ritorno di Nietzsche ci parla di un ordine cosmologico e quindi è una teoria estesa all’Universo intero di cui fa parte l’uomo, quella ripetizione alla quale mi riferisco io stessa è una ripetizione del tutto esperienziale. Nietzsche parla di cicli nell’universo, compiuti i quali essi stessi sono soggetti a ripetersi in maniera identica. Ebbene, io non parlo di teorie, ma parlo di evoluzione nel senso più pratico del termine. Nietzsche teorizza una ciclicità nell’universo che vede il susseguirsi di evoluzione e decadenza. Io personalmente nel mio discorso non prendo in considerazione la decadenza se non nel breve periodo, in funzione di una sempre più progressiva evoluzione nel lungo termine. Nietzsche non aveva ben presente il Salto Quantico, ovvero quel famoso Salto Dimensionale che la nostra umanità, per chi ci crede e per chi sa, è tenuta a fare se non vuole essere vittima di un effettivo eterno ritorno. Nietzsche viveva in tempi diversi dall’epoca attuale. Nietzsche forse aveva trovato un suo equilibrio nella sua teoria che ha come oggetto la ciclicità e la predeterminazione. Ma la sua resta pur sempre una teoria, per quanto rispettabilissima. In effetti, che senso ha la ripetizione per Nietzsche? Se riflettete sulla definizione che ne dà, la ripetizione prevista dall’eterno ritorno non ha un senso ai fini dell’evoluzione, perché egli enuncia la ripetizione dell’universo all’infinito, in un circolo chiuso. Ma l’Universo, come emerso da studi recenti, è in continua espansione e specialmente in questi ultimi anni si sta addentrando e muovendo in dimensioni più che accelerate! Forse la definizione di Nietzsche di questo eterno ritorno potrà far felici gli amanti della sicurezza, gli amanti della teoria, ma non di certo le persone che si trovano in cammino e che hanno gli occhi ben aperti a ciò che accade attorno ad essi!
Io preferisco parlare di cose che sono nuove sempre… La ripetizione esiste nella misura in cui situazioni leggermente diverse nascondono una stessa dinamica che si ripete, ma non perché la situazione sia sempre identica in tutto e per tutto! L’Universo, come già altre volte ho detto, l’uomo, le esperienze, non sono mai le stesse, sebbene possano nascondere dinamiche uguali esattamente identiche. In qualcosa, anche se pur minimo, si differenziano sempre! Nell’Universo non esiste mai qualcosa di perfettamente IDENTICO. Nemmeno i gemelli omozigoti lo sono! Insomma, la ripetizione non è nella Natura delle cose e del mondo. Ma l’evoluzione si, è nell’ordine dell’Universo e nelle Leggi della Natura!
Perché ho intitolato il post esordendo con “la condanna della ripetizione”? Beh la ripetizione diventa una condanna quando l’uomo, poiché non ha compreso un’esperienza, è tenuto a fare un salto qualitativo del proprio livello di essere. Quando non ne è in grado, o soccombe o muore. In altre parole, l’uomo è posto a servizio delle leggi dell’Universo, sia che presti il suo servizio volontariamente, sia che sia costretto a svolgerlo. Queste sono le regole se vuole vivere sul pianeta. E poi crediamo di avere il libero arbitrio? In tal senso, quindi, la ripetizione serve all’uomo per imparare ad evolversi, imparare a vivere su questo pianeta in qualità di forma intelligente in possesso di strumenti più sofisticati rispetto ai propri compagni animali. Ma nel momento in cui non si pone in grado di saper avvalersi di questi strumenti, ecco far capolino la ripetizione che si pone come dispensatrice di possibilità per poter evolvere. E perché avviene questo? Per il bene dell’uomo? No, a dire il vero è per il bene dell’Universo: già anche l’Universo ha un inizio e una fine e se non accede ad altre dimensioni è destinato a soccombere prima del tempo, nonché a rinunciare ad una trascendente trasformazione.
Come avrete capito non sono una grande fan dei concetti predeterministici e le teorie fini a sé stesse secondo me lasciano il tempo che trovano. L’uomo moderno ha bisogno di concretezza, ha bisogno di fare esperienza. Ha bisogno di imparare sulla propria pelle che il fuoco è rovente, a costo di bruciacchiarsi. Dopo la prima esperienza però dovrebbe aver capito. Quello a cui si assiste è una sorta di masochismo statico (perché non è nemmeno involutivo!) del quale il re è proprio la ripetizione. Il re di questa condanna ha un nome: masochismo. Ed anche un cognome: statico. Masochismo perché l’uomo che non impara che non vuole imparare è destinato a farsi del male da solo. E statico perché questo tipo di masochismo porta alla staticità del suo essere, ovvero porta l’essenza dell’uomo a marcire, recidendone i boccioli in potenza. Eppure, quanti scelgono di venir “potati” della propria speranzosa fioritura? Quanti preferiscono vivere senza difficoltà per poi morire come degli animali, senza cioè aver sviluppato il potenziale umano? Forse per paura di un po’ di sofferenza e per paura della fatica che l’impegno richiede, l’uomo si preclude la possibilità di evolvere assieme all’Universo…
Costringendosi così alla condanna della ripetizione!
Alla prossima.