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Buongiorno a tutti,

come naturale collegamento e continuazione del post precedente (scorrete pure la home page e lo troverete appena sotto questo articolo), e che era espressamente incentrato sul tempo, oggi è mio desiderio approfondire il concetto di tempo per quello che riguarda la sua QUALITA’.

In effetti, se con La trinità del tempo venivamo posti di fronte al fatto che il tempo esiste in 3 connotazioni percettive, per quel che riguarda la materia (presente, passato e futuro), ora mi vorrei focalizzare sul MODO in cui la qualità del tempo viene percepita. In tal senso si potrà riconoscere l’esistenza di un tempo interiore e di un tempo esteriore.

Dal punto di vista della percezione, a chi non è mai capitato di SENTIRE, PERCEPIRE un tempo dilatato (ad esempio i minuti che sembrano ore), nonché un tempo ristretto (ovvero quando il tempo sembra volare)?! E’ anche vero che questa percezione del tempo non è indipendente e fine a se stessa; poiché c’è un soggetto che la SPERIMENTA, essa viene filtrata all’interno di un apparato percettivo che colora le esperienze, le emozioni, il tempo, e che addirittura potrebbe sfornare sentimenti, se solo si impegnasse un po’… Ad ogni modo, torniamo alla distinzione che ho fatto all’inizio tra TEMPO INTERIORE e TEMPO ESTERIORE, perché, di fatto, non esiste un solo tipo di tempo, ovvero un tempo oggettivo ed uguale per tutti. Oppure esiste? Se esiste, come è possibile sperimentarlo? E il tempo soggettivo, invece? E’ forse frutto della percezione e nulla più? O magari c’è dell’altro?

Ebbene, il tempo esteriore, o quello che può anche essere definito “oggettivo”, è quello che noi identifichiamo come ‘uguale per tutti’, che dovrebbe essere uguale per tutti, e che per convenzione abbiamo RESO e preteso uguale per tutti: è l’unità di misura della nostra esistenza materiale, scandisce i secondi, i minuti, le ore, i giorni, i mesi, le stagioni, gli anni, etc. Beh, detto così forse suona un po’ riduttivo; in effetti, a ben pensarci, quale altra funzione potrebbe avere un tempo che risulta uguale per tutti?! O ha la funzione di appiattire noi stessi, oppure dovrà pur possedere una funzione utile all’essere umano, non vi pare?! Per quel che riguarda l’appiattimento che deriva da una parziale percezione del tempo sono d’accordo nel sostenere che essa è una possibilità che si concretizza nel momento in cui il tempo esteriore è l’unico in grado di venire preso in considerazione dal soggetto umano/pensante. Nel momento in cui migliaia di persone scelgono di rinunciare alla propria dimensione interiore, e con essa anche al tempo che la caratterizza, è come se rinunciassero al SENTIRE, al proprio modo UNICO e SPECIALE di sentire, diverso per ciascuno di noi e che rientra in ciò che mi viene da definire TEMPO INTERIORE. Questa rinuncia alla dimensione interiore e, di conseguenza, al tempo interiore comporta quindi una rinuncia al sentire: in sostanza, se non voglio/posso sentire ciò che mi abita in tutte le sue sfaccettature e “distorsioni” (le chiamo distorsioni in quanto ognuno di noi ha una propria realtà interiore che filtra gli eventi e le esperienze, personalizzando quindi la realtà esteriore), mi rifugerò nell’irresponsabilità del mondo esteriore che, col proprio tempo massificato, detta le regole di quello che devi fare. In tal senso è come se mi sottomettessi alle regole del mondo esterno a me, esterno alla mia interiorità. E talvolta ciò accade o per protezione… Oppure per distrazione! Per protezione perché talvolta, oppure per sempre, rendersi immuni alle proprie sensazioni permette di evitare il dolore. E questo è connesso allo sviluppo di un vero e proprio apparato all’interno dell’essere umano (quello che Wilhelm Reich aveva definito “corazza”), il quale ci arma contro tutto ciò che nella vita può essere causa o anche solo presagio di dolore, sofferenza, disagi, paure. La corazza, in tal senso, protegge sì, ma anestetizza pure. Sviluppare la corazza non ci permette di essere più forti, ma di mettere uno schermo tra noi e l’esperienza. Quanti si riconoscono in questa tendenza?

Arriviamo poi al secondo modo in cui le persone si tengono lontane dal proprio mondo interiore, ovvero la distrazione. In questo senso mi ricollego al concetto della presenza, che ho nominato proprio nel titolo. Quando non si è presenti a se stessi mentre si fanno le cose è praticamente impossibile riconoscere tutti quei sentimenti, quelle sensazioni ed emozioni che accompagnano ciò che si sta facendo. Estraniarsi da se stessi e mettersi alla mercé del mondo esteriore, che, col suo tempo appiattito non dà ragione della profondità ed unicità dell’esperienza personale, è un altro modo per decidere di non esserci in ciò che si fa… Ma le distrazioni si pagano, e a caro prezzo, poiché il tempo perduto non torna indietro. Se siamo tutti d’accordo sul fatto che il tempo scorre, o meglio dovrebbe scorrere, vediamo una spaccatura tra TEMPO INTERIORE e TEMPO ESTERIORE. Infatti nel tempo esteriore più appiattito e maggiormente soggetto ad una logica semplice, le cose, i fatti, le persone e le esperienze SCORRONO. Il tempo interiore è però completamente diverso, perché in esso si può verificare una magìa, ad opera del soggetto “contenente” quel tempo! Perché contenere il tempo significa tenerlo dentro di sé, modificarlo, saperlo/volerlo modificare, distorcere. Contenere il tempo significa operare cambiamenti su di esso (più o meno coscienti); e proprio sulla coscienza si ripercuote la differenza!

Quando sei presente a te stesso e riconosci il tempo e il ritmo che ti abita non avrai difficoltà a rispondere ad una semplice domanda, quale: “Sei felice?” Se invece si parano innanzi delle difficoltà forse occorre lavorare sulla presenza, sulla percezione, ma soprattutto sulla comprensione che il tempo, di qualunque qualità sia (esteriore e/o interiore) va riconosciuto nel proprio valore reale; il che è possibile solo ASSAPORANDO E VIVENDO IL PRESENTE: qui ed ora!

Infine, volevo anche trattare un altro quesito, ovvero: è possibile unire il tempo interiore a quello esteriore? Io credo di sì, e penso che farlo sia nobile. Innanzitutto occorre riconoscere l’esistenza di entrambe queste qualità e dar loro una dignità, integrarle nella propria vita dando a ciascuna di esse un valore che le è proprio. Entrambe servono per farci stare nella REALTA’, che è composta sia dall’aspetto interiore, sia da quello esteriore. Il tempo interiore è una faccia della stessa medaglia e, a modo suo anche il tempo esteriore fornisce qualcosa che il tempo interiore non può dare. Il segreto è non limitarsi. Il segreto risiede nello scegliere per entrambi! L’unione di queste due qualità del tempo rappresenta un arricchimento in quanto è come entrare in possesso di maggiori riferimenti sulla realtà, senza che si crei confusione! Ecco perché credo che tentare di contenere sia il tempo interiore, sia quello esteriore sia nobile: è un tentativo di apprezzare e vivere la realtà; la propria realtà unita alle altre. Poiché la vita è relazione! E se riusciamo a non dimenticarci, ma anzi a rendere omaggio al fatto che TEMPO INTERIORE ED ESTERIORE siano UNITI E MANIFESTI NEL PRESENTE, beh, siamo a cavallo per partire col piede giusto alla volta del percorso di scoperta delle “cose profonde”.

Alla prossima!