Buon giorno a tutti,
e ben rientrati qui sul blog! Come potete notare, oggi mi accingo ad inaugurare una nuova categoria la quale, oltre alle riflessioni e alle idee che prolificamente mi giungono sulla vita e sulla società in cui viviamo, ha lo scopo di raggruppare quelle esperienze, o meglio estratti, di vita reale con le quali ogni giorno mi trovo a dover fare i conti. Per cui d’ora in avanti potrete trovare le esperienze più concrete e terricole/terrestri più o meno succosamente raccontate in questa categoria, mentre relegherò alla sezione “Pensieri…riflessioni…idee” la mia vita perlopiù logico-razionale, astratta e mentale, fatta, appunto, di idee (certo non meno ispirate, visto il soggetto che si ritrova a scrivere!).
Bene, siete pronti per partire anche oggi? Come avete modo di riscontrare dal titolo la vita non mi/ci lascia mai in pace, sotto ogni punto di vista! Continue esperienze, ma soprattutto batoste giungono a tartassare tutti noi, almeno un tot di volte nella vita. Forse ciò che fa la differenza nel modo di approcciarsi a tali esperienze è il fatto di accorgersene, il fatto di vedere le cose per come sono, il fatto di essere più o meno svegli, il fatto di voler vedere le cose, e una serie di altre variabili… A proposito, se ve ne vengono in mente altre scrivetele pure nei commenti.
Ebbene oggi voglio parlare di lavoro Dignitoso, oggi, alle soglie del 2020, in Italia, in Europa, nella società occidentale, mondiale, terrestre attuale. Argomento di tutto rispetto e ovviamente non esauribile se non tramite eterne pillole… Ma lasciamo da parte la prolissità e giungiamo ai fatti. Perchè questo titolo? Perchè mai come oggi il fenomeno del lavoro senza dignità è una situazione estesa e considerata normale praticamente da tutti. Il lavoro ideale dunque non esiste? Cosa è il lavoro ideale che io tanto decanto, contrapposto al lavoro contrassegnato da mancanza di dignità? E’ proprio vero che possiamo affermare la presenza di un tipo di lavoro privato di qualsivoglia dignità?
Prima di tutto: cosa è la dignità? Cerchiamolo sul dizionario, amici miei! Ovviamente non un dizionario qualsiasi ma quello etimologico, perchè ritengo che sia attraverso la storia delle parole che possiamo fare i collegamenti tra ciò che esse vogliono esprimere. Ed allargare così la nostra comprensione! Ebbene ecco qui il risultato:
Cosa possiamo derivarne? Che la dignità ha innanzitutto a che fare con il concetto di merito e di nobiltà morale, spessore, sostanza. Tuttavia il vero significato in questa prima ricerca a me è parso assai stringato e un po’ ermetico, così non mi sono accontentata di questa definizione e ne ho cercata un’altra, che potrebbe ampliare in maniera interessante i ragionamenti fin qui fatti. Stavolta, se ci avvaliamo del dizionario Treccani online troviamo la seguente definizione, con le parti che ho messo in grassetto perchè a parer mio sono ciò che fa la differenza nella comprensione di questo concetto:
“dignità s. f. [dal lat. dignĭtas -atis, der. di dignus «degno»; nel sign. 3, il termine ricalca il gr. ἀξίωμα, che aveva entrambi i sign., di «dignità» e di «assioma»]. – 1. a. Condizione di nobiltà morale in cui l’uomo è posto dal suo grado, dalle sue intrinseche qualità, dalla sua stessa natura di uomo, e insieme il rispetto che per tale condizione gli è dovuto e ch’egli deve a sé stesso: tutelare, difendere la propria d.; abbassare la propria d.; vizî che degradano la d. umana; la mia d. non mi permette di rispondere a simili insinuazioni; persona senza d., priva di d.; lettera piena di dignità. Analogamente, d’altre cose: offendere la d. di un’istituzione; comportarsi come richiede la d. del luogo in cui ci si trova. b. Aspetto improntato a grave e composta nobiltà: la d. del suo volto attirava il rispetto di tutti; anche di luoghi: la d. severa della facciata d’un antico palazzo. 2. a. Alto ufficio, civile o ecclesiastico: innalzare, elevare a una d.; conferire una d.; privare di una d.; decadere dalla d.; d. papale, vescovile; d. senatoria, ecc. Nel diritto canonico, ogni titolo beneficiale ed ufficio che, nei varî gradi della gerarchia ecclesiastica, ha annessa una certa preminenza e giurisdizione. b. Al plur., le persone stesse che ricoprono tali cariche o uffici: con la partecipazione delle più alte d. civili, religiose. c. In araldica, armi di d., armi dalle quali si conosce la carica o l’ufficio esercitati dal possessore dello stemma o tradizionalmente dalla famiglia; tale carica è indicata sia da ornamenti esterni, detti distinzioni di d. o contrassegni d’onore (per es., la basilica posta in palo dietro lo scudo del cardinale camerlengo, o le bandiere poste decussate dietro lo scudo dei generali), sia da figure poste entro lo scudo. 3. ant. Principio filosofico generale, assioma, postulato: la terra non può muoversi di sua natura di tre movimenti grandemente diversi, ovvero bisognerebbe rifiutare molte d. manifeste (Galilei). Con questa accezione, il termine è più noto nella variante degnità (v.), per l’uso fattone dal Vico“.
Vedete che quest’ultima definizione amplia maggiormente il significato espresso precedentemente, indicando addirittura, con il termine “dignità” il rispetto che è dovuto all’uomo e che egli deve a se stesso!
Pertanto cosa c’è di sostanza, spessore, ma soprattutto RISPETTO nel lavorare a 2 euro l’ora? Nel lavorare per 13 ore filate con mezz’ora di pausa per respirare, forse? Se non addirittura lavorare per persone che non ti pagano, ma che tu ovviamente dai per scontato lo facciano. Lo scandalo degli immigrati che raccolgono pomodori per 3 euro l’ora in confronto a queste situazioni che vi racconto è un lusso… E credetemi, di persone che lavorano in condizioni in cui il lavoro non viene pagato o sottopagato sforando abbondantemente i limiti della decenza è la normalità per tante persone che conosco, siano essi italiani o immigrati, sia che essi lavorino con una parvenza di legalità o meno. E, di certo, la legge non va incontro a chi è nel giusto e vorrebbe vedere ripagati i propri sforzi, perlomeno pretendendo il giusto compenso che appunto paghi il tempo e le energie impiegate da chi lavora. E purtroppo non vi sono semplicemente implicazioni di ordine economico, ma anche di tipo psicologico, emotivo, mentale, sempre sul posto di lavoro (ottimo luogo per il Lavoro su di sè, mi verrebbe da aggiungere!). Eppure la legge riconosce i principi di dignità, perlomeno a livello formale, salvo poi non riconoscerli sostanzialmente per il singolo, perchè anche se ad essa ci si appella, i suoi tempi di risposta e di azione sono talmente biblici che non reggono alle necessità alle quali la vita quotidiana sottopone il malcapitato che ha bisogno di lavorare! Vi rendete conto che siamo arrivati al punto in cui la fantascienza supera ogni pretesa di realtà? Occorre voler aprire gli occhi di fronte a questo scempio della vita umana…
Ma non mi limito a parlare solo di questo… Proseguendo con il discorso, la dignità e la sua mancanza non riguardano solamente la questione dello stipendio effettivo rispetto alle ore lavorate, bensì anche alla “qualità” del lavoro (e cioè delle implicazioni di tipo emotivo, mentale, psicologico, etc. a cui accennavo prima); chiunque ha un lavoro (e parlo di qualunque tipo di lavoro che si possa definire tale, per il momento) SA che deve fare i conti con il COMPROMESSO. Compromessi nei confronti dei dipendenti, dei clienti, dei colleghi, del capo, dei superiori, dei fornitori, dei collaboratori, etc. Ecco qui il primo e significativo punto: LE RELAZIONI IN AMBITO LAVORATIVO. Già perchè, come è tanto auspicato dalla moderna società eppur non ancora avveratosi, la sostituzione degli esseri umani con delle macchine è ancora ben lontana dal verificarsi (semmai si verificherà); è molto più semplice ridurre dei reali esseri umani a macchine, non credete?! Le macchine e i robot, inoltre, per quanto possano limitarsi ad eseguire i tuoi ordini sempre e comunque senza sentire fatica non si riproducono naturalmente! Ad ogni modo, se sei un essere umano che ha un lavoro, con tutto ciò che esso comporta, nel bene e nel male, sai già che dovrai fare i conti con il compromesso. Ed esistono vari tipi di compromessi con le persone, perchè varie sono le motivazioni alla base di ciò; posso adottare un compromesso nel mio modo di pormi con dei colleghi allo scopo di andarci d’accordo, posso farmi andare bene un comportamento che odora di mobbing da parte del capo per tenermi stretto il posto di lavoro, posso mostrarmi più o meno accondiscendente con i clienti serpenti che non perdono occasione di approfittarne, etc. Oppure può essere l’inverso, nel qual caso iniziano i problemi. Pensate se ognuno desse sfogo alla manifestazione delle proprie personalità senza filtri, dicesse quello che pensasse al momento, preso da ogni tipo di impulsività… Praticamente il genere umano si estinguerebbe nel giro di qualche minuto!
Ma ritorniamo all’adozione del compromesso per mantenere il proprio lavoro. Oramai è considerato la cosa più normale di questo mondo, ma è dignitoso? Fino a che punto può esserlo? Per poter vivere una vita dignitosa e quindi per avere i soldi per pagare l’affitto e le tasse, per andare in vacanza, per pagarmi da mangiare e le spese dell’auto, e di tutto ciò che possiedo (altro inganno linguistico perchè se lo possedessi veramente non ne sarei schiavo delle relative spese e manutenzione, ma vabbè sono giusto quei dettagli che vanno approfonditi con un altro post dedicato) DEVO poter trovarmi un lavoro e mantenerlo nel tempo; parlo ovviamente per il 90% dell’umanità che deve lavorare per sopravvivere e non di mantenute/i, ricchi ereditieri o figli di papà a cui tutto è dovuto, che non possono nè sarebbero in gradi di comprendere le fatiche di chi lavora davvero, anche se forse il compromesso è una parola a loro molto famigliare, sebbene adottata per scopi diversi… E adesso, quanta gente costretta a lavorare ha a che fare con il compromesso? Quanto compromesso dobbiamo ingurgitare nella nostra vita prima di vomitarlo con malattie, malesseri di carattere fisico, emotivo o mentale? Si, perchè il compromesso si paga sempre sulla propria pelle, prima o poi… Un conto però è sapere di scendere a compromessi, vedere che non c’è alternativa, ed essere consapevoli che non dovrebbe essere la norma, un altro conto è considerare il compromesso NORMALE e non farsi la benché minima domanda a riguardo. Quando la RINUNCIA DI SE’ diventa un sinonimo del compromesso allora è un campanello d’allarme. Il compromesso dovrebbe essere un passo indietro in favore di un maggiore avanzamento futuro; un po’ come a dire che se oggi sacrifico qualcosa di sacrificabile (una reazione, un comportamento, un pensiero, etc.) potrò ricavarne un domani un beneficio maggiore datomi proprio da questo mio comportamento. Se il mio discernimento mi porta a capire una situazione e a rinunciare a qualcosa di rinunciabile e lo faccio in funzione di una condizione che reputo per me migliore in futuro, ben venga! Ma purtroppo pur essendoci le migliori intenzioni, spesso capita che, pur avvalendocisi del compromesso, la situazione irrisolta resti, si perpetui o addirittura peggiori, portandoci sempre a maggiori sacrifici. Sino ad un punto di non ritorno. E i punti di non ritorno possono essere innumerevoli: dal ricovero in ospedale per collasso nervoso, ulcera, percosse, oppure alla perdita del lavoro e alla ricerca di un altro che manifesterà, inesorabilmente, le stesse dinamiche… Che fare allora?
Se lavorare con Dignità non è possibile (perlomeno ad un livello ideale e astratto), lavoriamo allora fingendo di essere chi non siamo? E’ possibile? Dobbiamo diventare attori su un volubile palcoscenico della vita che ci dà da mangiare e ci applaude quando ne ha voglia e che quando non ne ha ci tratta come giocattoli vecchi e inutili? Che fare in una società dove essere sottopagati, sfruttati e derisi nelle proprie qualità di esseri umani è la normalità? La schiavitù lavorativa è la normalità, così come è la normalità che dei ricchi (economicamente) stupidi governino questo lurido business dell’umanità. Tengono al guinzaglio chi, unito, potrebbe far loro la pelle… Ma questi ultimi non lo fanno perchè evidentemente non possono fare altro che pensare al proprio orticello che gli potrebbe venir tolto da un momento all’altro lasciandoli spogli di tutto o semplicemente perchè non hanno tempo di mettere il mondo in discussione (presi ed impegnati come sono da un lavoro che devono difendere a colpi di compromessi). E’ possibile vivere così? Dove sta la vera dignità? La vera dignità ti dà l’opportunità di non pensare? O è forse il contrario? La vera dignità ti dà o ti sottrae?
Forse quest’ultima si nasconde in chi, capite le regole del gioco della vita attuale su questo pianeta, sceglie di rinunciare al superfluo e tenersi stretta l’essenza della propria dignità, almeno in se stesso più che nelle cose o nelle altre persone… Perchè ciò su cui possiamo contare siamo noi stessi in comunione con l’Universo… Di tutto il resto non ne sono poi tanto sicura…
Alla prossima!