AAA lavoro Dignitoso cercasi

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Buon giorno a tutti,

e ben rientrati qui sul blog! Come potete notare, oggi mi accingo ad inaugurare una nuova categoria la quale, oltre alle riflessioni e alle idee che prolificamente mi giungono sulla vita e sulla società in cui viviamo, ha lo scopo di raggruppare quelle esperienze, o meglio estratti, di vita reale con le quali ogni giorno mi trovo a dover fare i conti. Per cui d’ora in avanti potrete trovare le esperienze più concrete e terricole/terrestri più o meno succosamente raccontate in questa categoria, mentre relegherò alla sezione “Pensieri…riflessioni…idee” la mia vita perlopiù logico-razionale, astratta e mentale, fatta, appunto, di idee (certo non meno ispirate, visto il soggetto che si ritrova a scrivere!).

Bene, siete pronti per partire anche oggi? Come avete modo di riscontrare dal titolo la vita non mi/ci lascia mai in pace, sotto ogni punto di vista! Continue esperienze, ma soprattutto batoste giungono a tartassare tutti noi, almeno un tot di volte nella vita. Forse ciò che fa la differenza nel modo di approcciarsi a tali esperienze è il fatto di accorgersene, il fatto di vedere le cose per come sono, il fatto di essere più o meno svegli, il fatto di voler vedere le cose, e una serie di altre variabili… A proposito, se ve ne vengono in mente altre scrivetele pure nei commenti.

Ebbene oggi voglio parlare di lavoro Dignitoso, oggi, alle soglie del 2020, in Italia, in Europa, nella società occidentale, mondiale, terrestre attuale. Argomento di tutto rispetto e ovviamente non esauribile se non tramite eterne pillole… Ma lasciamo da parte la prolissità e giungiamo ai fatti. Perchè questo titolo? Perchè mai come oggi il fenomeno del lavoro senza dignità è una situazione estesa e considerata normale praticamente da tutti. Il lavoro ideale dunque non esiste? Cosa è il lavoro ideale che io tanto decanto, contrapposto al lavoro contrassegnato da mancanza di dignità? E’ proprio vero che possiamo affermare la presenza di un tipo di lavoro privato di qualsivoglia dignità?

Prima di tutto: cosa è la dignità? Cerchiamolo sul dizionario, amici miei! Ovviamente non un dizionario qualsiasi ma quello etimologico, perchè ritengo che sia attraverso la storia delle parole che possiamo fare i collegamenti tra ciò che esse vogliono esprimere. Ed allargare così la nostra comprensione! Ebbene ecco qui il risultato:

Cosa possiamo derivarne? Che la dignità ha innanzitutto a che fare con il concetto di merito e di nobiltà morale, spessore, sostanza. Tuttavia il vero significato in questa prima ricerca a me è parso assai stringato e un po’ ermetico, così non mi sono accontentata di questa definizione e ne ho cercata un’altra, che potrebbe ampliare in maniera interessante i ragionamenti fin qui fatti. Stavolta, se ci avvaliamo del dizionario Treccani online troviamo la seguente definizione, con le parti che ho messo in grassetto perchè a parer mio sono ciò che fa la differenza nella comprensione di questo concetto:

dignità s. f. [dal lat. dignĭtas -atis, der. di dignus «degno»; nel sign. 3, il termine ricalca il gr. ἀξίωμα, che aveva entrambi i sign., di «dignità» e di «assioma»]. – 1. a. Condizione di nobiltà morale in cui l’uomo è posto dal suo grado, dalle sue intrinseche qualità, dalla sua stessa natura di uomo, e insieme il rispetto che per tale condizione gli è dovuto e ch’egli deve a sé stesso: tutelare, difendere la propria d.; abbassare la propria d.; vizî che degradano la d. umana; la mia d. non mi permette di rispondere a simili insinuazioni; persona senza d., priva di d.; lettera piena di dignità. Analogamente, d’altre cose: offendere la d. di un’istituzione; comportarsi come richiede la d. del luogo in cui ci si trova. b. Aspetto improntato a grave e composta nobiltà: la d. del suo volto attirava il rispetto di tutti; anche di luoghi: la d. severa della facciata d’un antico palazzo. 2. a. Alto ufficio, civile o ecclesiastico: innalzare, elevare a una d.; conferire una d.; privare di una d.; decadere dalla d.; d. papale, vescovile; d. senatoria, ecc. Nel diritto canonico, ogni titolo beneficiale ed ufficio che, nei varî gradi della gerarchia ecclesiastica, ha annessa una certa preminenza e giurisdizione. b. Al plur., le persone stesse che ricoprono tali cariche o uffici: con la partecipazione delle più alte d. civili, religiose. c. In araldica, armi di d., armi dalle quali si conosce la carica o l’ufficio esercitati dal possessore dello stemma o tradizionalmente dalla famiglia; tale carica è indicata sia da ornamenti esterni, detti distinzioni di d. o contrassegni d’onore (per es., la basilica posta in palo dietro lo scudo del cardinale camerlengo, o le bandiere poste decussate dietro lo scudo dei generali), sia da figure poste entro lo scudo. 3. ant. Principio filosofico generale, assioma, postulato: la terra non può muoversi di sua natura di tre movimenti grandemente diversi, ovvero bisognerebbe rifiutare molte d. manifeste (Galilei). Con questa accezione, il termine è più noto nella variante degnità (v.), per l’uso fattone dal Vico“.

Vedete che quest’ultima definizione amplia maggiormente il significato espresso precedentemente, indicando addirittura, con il termine “dignità” il rispetto che è dovuto all’uomo e che egli deve a se stesso!

Pertanto cosa c’è di sostanza, spessore, ma soprattutto RISPETTO nel lavorare a 2 euro l’ora? Nel lavorare per 13 ore filate con mezz’ora di pausa per respirare, forse? Se non addirittura lavorare per persone che non ti pagano, ma che tu ovviamente dai per scontato lo facciano. Lo scandalo degli immigrati che raccolgono pomodori per 3 euro l’ora in confronto a queste situazioni che vi racconto è un lusso… E credetemi, di persone che lavorano in condizioni in cui il lavoro non viene pagato o sottopagato sforando abbondantemente i limiti della decenza è la normalità per tante persone che conosco, siano essi italiani o immigrati, sia che essi lavorino con una parvenza di legalità o meno. E, di certo, la legge non va incontro a chi è nel giusto e vorrebbe vedere ripagati i propri sforzi, perlomeno pretendendo il giusto compenso che appunto paghi il tempo e le energie impiegate da chi lavora. E purtroppo non vi sono semplicemente implicazioni di ordine economico, ma anche di tipo psicologico, emotivo, mentale, sempre sul posto di lavoro (ottimo luogo per il Lavoro su di sè, mi verrebbe da aggiungere!). Eppure la legge riconosce i principi di dignità, perlomeno a livello formale, salvo poi non riconoscerli sostanzialmente per il singolo, perchè anche se ad essa ci si appella, i suoi tempi di risposta e di azione sono talmente biblici che non reggono alle necessità alle quali la vita quotidiana sottopone il malcapitato che ha bisogno di lavorare! Vi rendete conto che siamo arrivati al punto in cui la fantascienza supera ogni pretesa di realtà? Occorre voler aprire gli occhi di fronte a questo scempio della vita umana…

Ma non mi limito a parlare solo di questo… Proseguendo con il discorso, la dignità e la sua mancanza non riguardano solamente la questione dello stipendio effettivo rispetto alle ore lavorate, bensì anche alla “qualità” del lavoro (e cioè delle implicazioni di tipo emotivo, mentale, psicologico, etc. a cui accennavo prima); chiunque ha un lavoro (e parlo di qualunque tipo di lavoro che si possa definire tale, per il momento) SA che deve fare i conti con il COMPROMESSO. Compromessi nei confronti dei dipendenti, dei clienti, dei colleghi, del capo, dei superiori, dei fornitori, dei collaboratori, etc. Ecco qui il primo e significativo punto: LE RELAZIONI IN AMBITO LAVORATIVO. Già perchè, come è tanto auspicato dalla moderna società eppur non ancora avveratosi, la sostituzione degli esseri umani con delle macchine è ancora ben lontana dal verificarsi (semmai si verificherà); è molto più semplice ridurre dei reali esseri umani a macchine, non credete?! Le macchine e i robot, inoltre, per quanto possano limitarsi ad eseguire i tuoi ordini sempre e comunque senza sentire fatica non si riproducono naturalmente! Ad ogni modo, se sei un essere umano che ha un lavoro, con tutto ciò che esso comporta, nel bene e nel male, sai già che dovrai fare i conti con il compromesso. Ed esistono vari tipi di compromessi con le persone, perchè varie sono le motivazioni alla base di ciò; posso adottare un compromesso nel mio modo di pormi con dei colleghi allo scopo di andarci d’accordo, posso farmi andare bene un comportamento che odora di mobbing da parte del capo per tenermi stretto il posto di lavoro, posso mostrarmi più o meno accondiscendente con i clienti serpenti che non perdono occasione di approfittarne, etc. Oppure può essere l’inverso, nel qual caso iniziano i problemi. Pensate se ognuno desse sfogo alla manifestazione delle proprie personalità senza filtri, dicesse quello che pensasse al momento, preso da ogni tipo di impulsività… Praticamente il genere umano si estinguerebbe nel giro di qualche minuto!

Ma ritorniamo all’adozione del compromesso per mantenere il proprio lavoro. Oramai è considerato la cosa più normale di questo mondo, ma è dignitoso? Fino a che punto può esserlo? Per poter vivere una vita dignitosa e quindi per avere i soldi per pagare l’affitto e le tasse, per andare in vacanza, per pagarmi da mangiare e le spese dell’auto, e di tutto ciò che possiedo (altro inganno linguistico perchè se lo possedessi veramente non ne sarei schiavo delle relative spese e manutenzione, ma vabbè sono giusto quei dettagli che vanno approfonditi con un altro post dedicato) DEVO poter trovarmi un lavoro e mantenerlo nel tempo; parlo ovviamente per il 90% dell’umanità che deve lavorare per sopravvivere e non di mantenute/i, ricchi ereditieri o figli di papà a cui tutto è dovuto, che non possono nè sarebbero in gradi di comprendere le fatiche di chi lavora davvero, anche se forse il compromesso è una parola a loro molto famigliare, sebbene adottata per scopi diversi… E adesso, quanta gente costretta a lavorare ha a che fare con il compromesso? Quanto compromesso dobbiamo ingurgitare nella nostra vita prima di vomitarlo con malattie, malesseri di carattere fisico, emotivo o mentale? Si, perchè il compromesso si paga sempre sulla propria pelle, prima o poi… Un conto però è sapere di scendere a compromessi, vedere che non c’è alternativa, ed essere consapevoli che non dovrebbe essere la norma, un altro conto è considerare il compromesso NORMALE e non farsi la benché minima domanda a riguardo. Quando la RINUNCIA DI SE’ diventa un sinonimo del compromesso allora è un campanello d’allarme. Il compromesso dovrebbe essere un passo indietro in favore di un maggiore avanzamento futuro; un po’ come a dire che se oggi sacrifico qualcosa di sacrificabile (una reazione, un comportamento, un pensiero, etc.) potrò ricavarne un domani un beneficio maggiore datomi proprio da questo mio comportamento. Se il mio discernimento mi porta a capire una situazione e a rinunciare a qualcosa di rinunciabile e lo faccio in funzione di una condizione che reputo per me migliore in futuro, ben venga! Ma purtroppo pur essendoci le migliori intenzioni, spesso capita che, pur avvalendocisi del compromesso, la situazione irrisolta resti, si perpetui o addirittura peggiori, portandoci sempre a maggiori sacrifici. Sino ad un punto di non ritorno. E i punti di non ritorno possono essere innumerevoli: dal ricovero in ospedale per collasso nervoso, ulcera, percosse, oppure alla perdita del lavoro e alla ricerca di un altro che manifesterà, inesorabilmente, le stesse dinamiche… Che fare allora?

Se lavorare con Dignità non è possibile (perlomeno ad un livello ideale e astratto), lavoriamo allora fingendo di essere chi non siamo? E’ possibile? Dobbiamo diventare attori su un volubile palcoscenico della vita che ci dà da mangiare e ci applaude quando ne ha voglia e che quando non ne ha ci tratta come giocattoli vecchi e inutili? Che fare in una società dove essere sottopagati, sfruttati e derisi nelle proprie qualità di esseri umani è la normalità? La schiavitù lavorativa è la normalità, così come è la normalità che dei ricchi (economicamente) stupidi governino questo lurido business dell’umanità. Tengono al guinzaglio chi, unito, potrebbe far loro la pelle… Ma questi ultimi non lo fanno perchè evidentemente non possono fare altro che pensare al proprio orticello che gli potrebbe venir tolto da un momento all’altro lasciandoli spogli di tutto o semplicemente perchè non hanno tempo di mettere il mondo in discussione (presi ed impegnati come sono da un lavoro che devono difendere a colpi di compromessi). E’ possibile vivere così? Dove sta la vera dignità? La vera dignità ti dà l’opportunità di non pensare? O è forse il contrario? La vera dignità ti dà o ti sottrae?

Forse quest’ultima si nasconde in chi, capite le regole del gioco della vita attuale su questo pianeta, sceglie di rinunciare al superfluo e tenersi stretta l’essenza della propria dignità, almeno in se stesso più che nelle cose o nelle altre persone… Perchè ciò su cui possiamo contare siamo noi stessi in comunione con l’Universo… Di tutto il resto non ne sono poi tanto sicura…

Alla prossima!

GLI SPECCHI ESSENI di Giovanna Garbuio

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Il libro, copertina

Buona sera e ben ritornati,

oggi ritorno a rimpolpare la sezione dedicata alle recensioni parlandovi di un libro che trovo molto utile per il lavoro su di sè, sia a livello teorico che soprattutto pratico. “Gli specchi esseni” di Giovanna Garbuio, infatti, sono una guida agli specchi esseni, ovvero particolari strumenti di conoscenza dell’uomo già teorizzati da Gregg Braden ne “La matrix divina”. Quest’ultimo, che in realtà precede gli specchi esseni della Garbuio, prende in esame il manoscritto di Isaia e i testi Esseni quali disvelatori di potenti verità sull’uomo, utili al proprio percorso di auto-conoscenza tramite i rapporti umani. Ebbene, se Braden ne aveva scorto ben 7, la Garbuio ne carpisce altri 7, per un totale di 14 specchi con un significato molto interessante dal punto di vista della numerologia (e del quale potete trovarne nel libro la spiegazione)! N.B.: in questo libro non si narra la storia degli esseni e tutto il contesto storico (che viene semplicemente citato, ma non approfondito), bensì di applicare la filosofia degli specchi esseni alla cultura/spiritualità hawaiana della quale l’autrice si fa portavoce (nello specifico quello da lei definito Ho’oponopono occidentale), specie per quel che riguarda il rapporto con la realtà. Lo specifico perchè, pur essendo stata molto soddisfatta dalla lettura, mi sono imbattuta in alcune rare recensioni che additavano il manuale in quanto avente un “titolo fuorviante”; l’importante è leggere anche il riassunto sul retro che non fa alcuna menzione degli esseni, ma soprattutto cercare di capire, ancor prima di leggere, CHI è l’autore e da dove proviene, perchè, come questo stesso libro insegna, la SUPERFICIALITA’ tira proprio brutti scherzi, in tutto. E ti costringe a ripetere le cose!

Dopo queste doverose premesse partiamo da come è strutturato il libro: è diviso in una parte introduttiva, composta da alcuni capitoli nei quali si prepara un lettore più o meno consapevole a quello che sarà il succo del discorso contenuto nel vero cuore del libro, ovvero gli specchi esseni, che costituiscono, in blocco, uno dopo l’altro, il vero fulcro e senso del volume, per poi passare alla parte conclusiva nella quale si tirano le somme e si prendono in esame le emozioni (14 anch’esse, per la precisione) per quello che hanno da insegnarci nel momento in cui vengono “attivate” (e in certi casi, scatenate) dall’esterno. Ho apprezzato particolarmente la presenza di citazioni qua e là che costellano ogni capitolo e prese da Vangeli o da altri autori della moderna spiritualità, degni di nota e approfondimento; l’ho trovato un gesto che ha il merito di unire alla parte logico-razionale del testo vero e proprio poesia e materia astratta. E’ sublime, davvero una chicca! Nello specifico ho apprezzato il monologo di pagina 161 della citazione di Giulio Achilli in merito al giudizio: ..che cos’è il giudizio? E’ credere che lo sciocco parere di uno sia la verità per tutti. Il giudizio è credere che il metro con cui io misuro il mondo sia lo stesso per ogni essere umano. Il giudizio è credere che io sia superiore a quello che sto giudicando. Il giudizio uno squallido e ignobile tentativo adolescente di gettare le mie debolezze sulle spalle dei miei compagni esseri umani…”. Il giudizio è qualcosa che in un mondo di Amore non ha modo di esistere, e questo concetto è per me davvero un punto focale, in quanto il mondo, nella mia esperienza, è tanto giudizio! TUTTO E’ UNO, UNO E’ AMORE E L’AMORE VA IN DIREZIONE DELL’ESPANSIONE DI SE’: ecco il motivo dominante, la filosofia di base di questo libro che devo ancora integrare e capire meglio. Perchè anche se una cosa ti è piaciuta non è detto che tu la condivida o l’abbia già sperimentata al 100%!

Veniamo però al dunque… Cosa sono in realtà questi specchi? Uno strumento. Per fare che cosa? Per specchiarsi, appunto! Ma non nel senso più comune del termine, vanitosi che non siete altro! (Scherzo, ma magari lo siete davvero e non ci sarebbe nulla di male nell’ammetterlo). Gli specchi sono un particolare STRUMENTO DI CONOSCENZA PER INTERPRETARE LA REALTA’: gli altri, e ciò che tramite essi ci accade, diventano del materiale utile per conoscere meglio noi stessi e per intessere rapporti con parti particolarmente oscure, bloccate o problematiche di noi stessi. Si parte dal presupposto che “gli altri siamo noi”, con un senso di FRATELLANZA, che, più che fratellanza, è UNIONE vera e propria, altro tema fondamentale del libro. Quindi gli altri e il nostro rapporto con loro rifletterebbe ciò che è contenuto nella nostra interiorità, soprattutto per quel che riguarda bisogni, blocchi, magagne, fastidi, rabbia, euforia, benessere, etc. Altrimenti detto: gli altri ci fanno da specchio sia nel bene che nel male, solo che, effettivamente, se stiamo bene che bisogno abbiamo di approfondirne il motivo?! Ce lo godiamo e basta! Il bello viene quando siamo costretti a guardarci dentro perchè ci capitano eventi o incontriamo persone che ci fanno stare male, nonché quando si ha a che fare con eventi spiacevoli dai quali si possono trarre opportunità per conoscere se stessi. Se è vero che attiriamo nella nostra vita il 99% di ciò che ci accade, è necessario capire in che modo lo facciamo, per poter scoprire, conoscere e soprattutto AGIRE sulla nostra realtà. E’ fondamentale procedere all’ AZIONE  e non alla RE-AZIONE, come viene più volte ripetuto nel testo. Gli specchi ci rivelano la realtà attraverso tutta la carrellata di relazioni che abbiamo nella nostra vita e/o che gli altri manifestano nei nostri confronti: c’è lo specchio del chi sono io, quello del giudizio, del colpo di fulmine, delle dipendenze, del rapporto col Divino, dell’oscura notte dell’Anima, del paragone, del come mi considero, dello stimolo delle potenzialità, dei cattivi esempi, dell’adesso basta, della persona che ami, delle lamentele degli altri e della ricezione dell’energia. Spetta a ciascuno di noi l’arduo compito di mettere a punto gli esercizi per scovare questi specchi e il significato che essi assurgono in quanto CODICE PER INTERPRETARE LA MAPPA DELLA NOSTRA VITA.

Perchè (e questo è un altro punto da sottolineare) noi stessi siamo in prima persona responsabili al 100% di ciò che accade nella nostra vita personale, e posto questo fatto, il manuale è rivolto a coloro che vogliono migliorare e scoprire se stessi, più che indagare l’interiorità del compagno, dell’amico, del vicino di casa o di tutti gli sconosciuti che può incontrare… Il fatto poi di essere utili al mondo, migliorare i rapporti con gli altri rendendoli appaganti e diventare felici sono “effetti collaterali” dell’efficacia che può derivare dall’aver applicato correttamente i principi in esso contenuti! L’importante è scoprire e sentire di ESSERE, l’importante è ESSERE, prima ancora di essere qualcosa. Ma l’uomo comune si sa, raramente va all’essenza delle cose e degli stati, in quanto la scambia per un accontentarsi (che dire? Se i millenni di condizionamento non fanno una piega, neppure chi è duro e puro nei suoi intenti ha più scuse per lasciarsi travolgere da essi!).

L’ho trovato un libro estremamente REALE, perchè oltre a farci arrivare nel concreto e con il linguaggio culturalmente più affine all’uomo comune un messaggio di una (o più) tradizione diversa dalla nostra, ci indica anche esercizi pratici per sperimentare sul campo quel determinato specchio del quale si è parlato in teoria adducendo esempi molto concreti derivanti dalla realtà della vita. E’ altresì un libro TRASPARENTE, perchè non c’è trucco e non c’è inganno, semplicemente l’esperienza che l’autrice ci offre con autenticità e semplicità, per farci capire che risvegliarsi non è un parolone ma una possibilità per chi è disposto a mettersi realmente e autenticamente in discussione. Non a caso gli esercizi proposti sono contrassegnati da impegno e continuità, alcuni hanno la durata di 21 giorni e per questo sono un vero e proprio manuale pratico di conoscenza di sè. A dire la verità me li sono centellinata per bene di modo da poterli fare in maniera costante e presente; insomma, non si tratta di esercizi ammazza tempo, semmai di esercizi ammazza addormentamento!

Che altro dirvi? E’ un libro che va vissuto e che non può essere spiegato; anche perchè ognuno di noi darebbe ad esso un senso del tutto soggettivo in quanto gli specchi gli rivelano la propria personale realtà. Sinceramente non avevo mai letto Giovanna Garbuio, ma la conoscevo indirettamente per gli argomenti che tratta e che mi hanno attratta si, ma non fino al punto di approfondire il percorso da lei intrapreso. Devo riconoscere che è stata una bella scoperta; scrive molto bene, è scorrevole, concreta, mai banale e laddove si celi una parvenza di banalità è subito pronta a tirar fuori la “perla” che non ti aspetti. E anche i temi dei quali si fa portavoce sono molto affascinanti e sembrerebbero anche efficaci (beh, tentar non nuoce)!

Ecco se proprio devo fare la pignola non tutti i discorsi fatti dall’autrice mi tornano al 100% per quel che è la mia esperienza del mondo (vedi ad esempio la concezione dell’Amore, che fatico ad applicare a particolari disgrazie), ma di questo vi terrò aggiornati, anche perchè nella vita si cambia e io, fortunatamente, ho ancora del tempo (si spera) a disposizione per mettere a frutto tutti gli esercizi e magari ripeterli più volte per poter conoscerli e conoscermi meglio. Di fatto, ci fornisce importanti materiali di cui far tesoro per ampliare la conoscenza di noi stessi, del mondo e delle dinamiche che ci interessano e che abbiamo più o meno consapevolmente attivato nella nostra vita. E voi che aspettate? Se qualcosa ha fatto click forse è il momento di leggerlo… Male di sicuro non fa, o perlomeno potrebbe trattarsi di un male che, a lungo andare potrebbe trasformarsi in un bene maggiore, se non addirittura supremo. Perchè non è tanto il male che affrontiamo nella vita, ma come riusciamo a trasformarlo a nostro vantaggio: questa è la perla che questo volume ha estratto da me.

Buona lettura, alla prossima!

Mentre i genitori non ci sono… i figli ballano!

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Buon giorno e buona domenica a tutti,

quale momento migliore per ritornare in questo piccolo portale in movimento che compare ogni tanto a chi decide di leggere qualcosa di diverso… Vedo che a seguire questo blog ci sono tante persone da tutto il mondo e ne approfitto per salutarvi tutti, ad uno ad uno ringraziandovi per il sostegno che gli date. E’ molto importante per me! GRAZIE!

Bene, dopo aver cominciato con un po’ di doverosa gratitudine, arriviamo all’argomento di oggi che mi è stato ispirato da alcuni “stati” di WhatsApp che, pur avendo oscurato, mi appaiono insistentemente e quotidianamente nell’area ad essi riservata (eh, ci sarà un perchè?!). Insomma, un modo per dirvi che la tecnologia e anche le frivolezze, se utilizzati a dovere, possono anche rappresentare un ispirante momento di introspezione. Potete immaginare cosa mi sono trovata a dover guardare per più giorni di seguito, sino a sfociare nel climax della domenica mattina: foto di adolescenti (perlopiù ragazze) vestite in maniera tale che una pornostar sembra una suora a confronto, che alle due di notte si trovano a farsi foto in discoteca. Fin qui nulla di scandaloso (più o meno); è abbastanza “normale” ai nostri tempi che delle ragazzine di 18 anni o meno se ne vadano in giro in gruppo, vestite quasi ai limite della decenza umana, sino a notte fonda o anche di prima mattina a ballare finanziate dai genitori per quel che riguarda trucco, parrucco, cocktail e passaggi vari… Non trovate? Quello che sinceramente mi ha un po’ lasciata basìta è stata la frequenza e l’abitudinarietà con cui queste ragazzine festeggiano, nonchè le ore fino alle quali è permesso loro stare in giro senza alcun controllo parentale RIPETUTAMENTE. Se a questo aggiungiamo anche il loro stato d’animo profondamente dicotomico tra ciò che fanno e ciò che sentono, abbiamo fatto bingo! Già perchè con queste ragazze che mi intasano gli stati ci ho a che fare per ragioni di lavoro e anche di “educazione”, nel senso scolastico del termine e qualche dubbio riguardo a chi li educa, oltre alla scuola sinceramente mi viene! Ora, senza entrare troppo nel dettaglio ma per farvi capire, si tratta di ragazzine che hanno un unico comune denominatore: arrivano da famiglie benestanti, la maggior parte di cosiddetta “buona famiglia” timorata di Dio (non che voglia tirare in ballo la religione, ma voglio fornirvi quanti più dettagli possibili per sapere se capita solo dalle mie parti che ci siano adolescenti così), che, quando ci parli fanno discorsi che non fanno una piega, salvo poi smentirsi platealmente negli atteggiamenti, comportamenti, etc. Il frutto non cade lontano dalla pianta che lo ha generato, recita un famoso proverbio…

Perciò lo chiedo anche a voi che leggete: perchè se apparentemente da una famiglia perbene o perbenista poi escono siffatti risultati in termini di figli? Posto il fatto che i figli non sono un assioma, vorrei cercare di capire, insieme a voi, dove stiamo andando a parare con questa generazione di “scatole vuote”… Vi prego non mi dite che sono repressi perchè non ci credo, avendo constatato, visto con i miei occhi che non manca loro nulla di nulla per diventare adulti di tutto rispetto. Hanno le conoscenze, il sapere necessario quando e dove vogliono (grazie a questo benedetto Internet), hanno le possibilità per attingere ad innumerevoli esperienze e cosa si vanno a scegliere? Sempre il solito sesso… Sesso in termini di conoscenza, sesso in termini di esperienza, sesso in termini di piacere nel fare qualcosa, sesso nel voler provare indistintamente emozioni (più è ampia la gamma meglio è), sesso nel porsi allo sbando in questa società e nel lasciarsi pensare e divorare le emozioni, sesso nel volersi distinguere, sesso nel voler essere qualcuno, sesso nel voler mostrare più di quel che si possiede, sesso nel voler dominare, sesso nel voler essere qualcuno, sesso nell’imporre il proprio ego o nel far sentire la propria voce in un mondo tanto grande.. Sesso come schema eterno in ripetizione. Forse perchè è il sesso il condizionamento?

Come avrete intuito, quello su cui oggi vorrei spostare l’attenzione è l’EDUCAZIONE e la presenza di VALORI nei giovani ragazzi e adolescenti di oggi. Credo di non averne mai parlato in maniera così specifica se non facendone cenno qua e là in post sparsi, ma è comunque giunto il momento di CAPIRE  e mettersi a riflettere su come la generazione di adulti attuale sta educando gli adulti di domani (se mai adulti nell’anima lo diventeranno). Alcune di queste ragazze di cui vi ho parlato, che conosco piuttosto bene, manifestano un sentire molto sensibile (e posso affermarlo proprio perchè le conosco), ma questo loro sentire viene deviato o schiacciato da amicizie, scuola, social media, etc. Secondo voi è possibile? Secondo me, la prima ragione di deviazione di un adolescente è la famiglia! SI, L’HO DETTO E LO RIPETO, E NON TACCIATEMI DI SFACCIATAGGINE PER FAVORE!

I ragazzi e gli adolescenti di oggi hanno a disposizione strumenti diversi da quelli delle generazioni precedenti, il che li porta anche a fare scelte diverse. Ma se queste scelte non vengono filtrate ed indirizzate dai genitori, che ne hanno la patria potestà almeno fino alla maggiore età, come ne escono? Cioè, non si tratta di adolescenti diventati così sbandati e faciloni da un giorno all’altro (e mi auguro che vi siano tanti genitori alla lettura, i quali spero che ogni tanto controllino i cellulari dei propri figli e che, sempre ogni tanto, facciano loro il classico sermone, anziché adottare il tipico atteggiamento menefreghista mascherato da new age del “ho fiducia che faccia le scelte giuste”, se non addirittura quello fasullo di fingersi amici dei propri figli, che con i figli non ci azzecca una mazza se non per il fatto di aumentargli ancora di più la confusione). Fiducia non ha nulla a che fare con menefreghismo o scambio di ruoli, e oggi ce n’è tanto sia dell’uno che dell’altro. Fiducia è sicurezza, la sicurezza di avere radici forti le quali risiedono nella famiglia, perchè per me è la famiglia a farla da padrone oltre alla scuola e alla società, perlomeno se prendiamo in considerazione il grado di importanza nella qualità dell’educazione. E’ altresì necessario considerare un altro fattore e cioè la quantità: con chi o come passano la maggior parte del tempo gli adolescenti? Nella società moderna è una questione di vitale importanza perchè vuoi per il fatto che per la maggioranza dei ragazzi entrambi i genitori lavorano, vuoi per il fatto che questi stessi genitori quando sono presenti fisicamente, non lo sono altrettanto mentalmente e/o emotivamente, i figli sono educati da ciò con cui passano la maggior parte del tempo, che trasmetterà loro la propria educazione. E si vedono adolescenti a scuola (o al grest, durante il periodo estivo) dalle 8 alle 13 di pomeriggio (se non di più), dalle 13 alle 16 con gli amici o sui social media, dalle 16 alle 19 occupati nei loro compiti castranti, dalle 19 in poi con i genitori (o quel che ne rimane)… Spesso nelle poche ore che i figli trascorrono con i genitori vi è semplicemente spazio per la recriminazione di non averci passato più tempo, unita alla frustrazione del lavoro/scuola. E così al sopraggiungere delle vacanze esplodono i problemi sotterrati all’ombra del proprio sè…

E’ la famiglia (nella sua assenza o presenza) ancor prima della scuola, la responsabile dell’indirizzare i figli sulla strada da prendere nella vita. Capite che dunque se la famiglia è un nodo debole o traballante perchè non sostenuto da forti e saldi valori che facciano ancorare il ragazzo a terra, nella concretezza della realtà, questi verrà catturato dalla volatilità di ciò che gli si presenta all’esterno, non sapendo dare importanza a ciò che è davvero funzionale alla propria crescita?! Quando la famiglia delega agli altri il proprio dovere, crescono abomini. Si, abominio è la parola corretta! E poichè frequento da sempre gli ambienti scolastici, quasi come una seconda casa posso tranquillamente affermare che anche a scuola è PALESE se il ragazzo ha problemi in famiglia, in quanto esprime e porta in classe tutto ciò che di buono o meno buono risiede in essa. Che poi tutto ciò venga detto ai genitori è una scelta dell’insegnante, ma tutto e dico proprio tutto si esprime nei ragazzi, anche il non detto.

Pertanto, mentre i genitori non ci sono (sia fisicamente che emotivamente o mentalmente) i figli ballano… Famiglia forte = ragazzi forti, Famiglia debole = ragazzi deboli. Perchè? Perchè il ragazzo è il frutto che lo ha generato e fatto a sua immagine e somiglianza. Se non viene curato ma lasciato allo sbando crescerà come potrà, anziché come dovrà venire cresciuto (e parlo di un dovere morale, da parte della famiglia, sua responsabilità primaria). Se non gli verranno proibite delle cose (i no che aiutano a crescere), ma gli verrà concesso tutto purchè sia apparentemente felice, appagato nell’immediato, purchè non crei problemi agli adulti, egli non darà valore a nulla perchè mancheranno i presupposti perchè egli lo possa fare. DARE VALORE ALLE COSE E ALLE PERSONE, RISPETTO, DISCIPLINA, e altri valori molto importanti a forgiare un individuo forte sono accomunati dalla PRESENZA. Presenza di una famiglia, presenza di radici, presenza a se stessi…

E il discorso potrebbe anche ampliarsi e prendere pieghe inaspettate… Ma per oggi preferisco finire qui, che già di materiale ce n’è fin troppo! Se vi va partecipate pure a questa mia conversazione scrivendo nei commenti, anche se non siete d’accordo con ciò che ho detto, perchè il confronto è importante.

Alla prossima e buona domenica!

P.s.: e fate attenzione prima di guardare lo stato di WhatsApp dei contatti di giovani e adolescenti. Potreste restarne scioccati, basìti, stupefatti… ma di certo non potete restarne indifferenti. Esprimono ciò che sta accadendo alla maggior parte dell’umanità futura, oltre che essere un campanello che suona alla vostra porta con la funzione di portarvi un messaggio. Grazie!

 

Un vaccino anti-umano (-ide)?

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Buona sera e ben ritrovati!

Si tratta del mio primo post del 2019 e quindi rullo di tamburi, perchè finalmente sono ritornata! In questa prima metà dell’anno ho avuto molto filo da torcere in più aspetti della mia esistenza, ma quello che soprattutto mi ha dato, tra alti e bassi, questa prima metà del 2019 è stato molto materiale da elaborare. Che tipo di materiale? Ovviamente, riflessioni di vita vissuta, i vari perchè che si accumulano a seguito dell’osservazione del comportamento dei miei simili e quant’altro…

Credo che gli etologi e gli antropologi possano dire di spassarsela a leggere su questo blog, allo stesso modo in cui lo fanno nella vita reale semplicemente osservando i loro contendenti di pianeta, nonché altri gli esseri umani che di seguito chiamerò umanoidi, e i quali a differenza dei semplici umani, lasciatemelo dire, sono ben strani!

Già avevo accennato agli umanoidi in un mio post (potete cercarlo con la parola chiave), definendoli la versione peggiore degli esseri umani e che costituisce, vuoi per influenze e condizionamenti vari, vuoi per mancanza di volontà nel liberarsi da tali influenze, la peggior versione che l’essere umano possa scegliere (attivamente o passivamente) di essere. Ebbene… sono di nuovo qui e stavolta più agguerriti che mai! Ma non avevano detto i sedicenti veggenti che saremmo andati incontro ad un’evoluzione? Di cosa? Forse parliamo dell’evoluzione dell’involuzione?

Non vorrei tediarvi con polemiche sterili e inutili, anche perchè sapete che a me non piace dar aria alla bocca e la mia assenza lo dimostra.. Perciò arriviamo al DUNQUE! Cosa mi hanno fatto stavolta questi mostri umanoidi? Prima di tutto, è che non si tratta di mostri, ma di persone molto carine e a modo  all’apparenza. Si comportano anche bene, fino a un certo punto… Già quel famoso punto che rivela il discrimine tra NOI e LORO. In questi mesi mi sono capitate persone davvero strane (comportamenti ai limiti del borderline o della schizofrenia da parte di persone apparentemente “normali”) , che hanno aggiunto confusione alla mia già presente confusione nel comprendere gli esseri umani. O forse sono io strana, anche se questa fase l’ho già testata confrontandomi più volte con persone come me, con i miei stessi valori che frequento e vivo. Pertanto lasciatemi il diritto di mettere in discussione la stragrande maggioranza di umanoidi. Ebbene, siamo arrivati al punto del famoso discrimine… Ma quando ci si accorge di quando questa maschera cala? Sono errori da essere umano, oppure sono vizi da umanoidi? Più volte me lo sono chiesta, lasciando da parte ogni buonismo e ogni condanna, lottando ogni volta contro le mie parti buona e cattiva tentando di raggiungere un equilibrio tra mente e cuore. La mente, quella logica, spesso non cavava un ragno dal buco, e altre volte ci si infilava troppo. In sostanza, cosa ho scoperto?

Ho scoperto che gli umanoidi si approfittano di te e del tuo tempo (la cosa più preziosa che hai, strano eh?). Gli umanoidi non sanno dare valore alle persone o alle cose perchè essi stessi sono diventati merce incapace di discernimento o di pensieri ed emozioni controllati; per loro tutto e tutti sono sostituibili. Inoltre prendono di dare valore e attenzione solo a se stessi e ai propri apparenti bisogni, sfruttandoti finché gli sei simpatico e necessario e lanciandoti un calcio nel didietro non appena possono attingere a nuova linfa da qualche altra parte. Gli umanoidi sono volubili e figli del consumismo; un consumismo fatto di emozioni, di pensieri, di luce, di ombra, di soddisfazioni e di fallimenti, di bene e male che si susseguono senza potersi dare tregua. Cassandra Crossing (si, mi riferisco proprio al film)… un treno che va ad una velocità incontrollabile chissà dove, sparato in avanti, senza meta, buttato là, verso la non conoscenza, verso l’accelerazione che non lascia spazio alla riflessione consapevole. Gli umanoidi sono una metafora di Cassandra Crossing, sono i figli della società e delle sue influenze e condizionamenti; gli umanoidi sono la razza auspicata dell’Essere Umano corrotto e rotto, distrutto, vinto, dominato e soggiogato. Che va sparato a mille allo sbaraglio, senza volontà nè direzione. Gli umanoidi sono le marionette che pretendono di muovere il mondo, ma che invece sono appese per i fili delle loro emozioni, pensieri e bisogni da coloro che li sanno manovrare per ridurre ad una merda fumante senza intelligenza il nostro mondo. L’umanoide è consumatore babbeo: compra, sfrutta, e quando ha finito, va avanti con l’acquisto e lo sfruttamento di cose e persone che soddisfino i propri bisogni, senza porsi dei perché, ma andando avanti a sfinimento. E se non sei tu l’oggetto del loro sfruttamento sarà qualcun altro a capitargli a tiro. Gli umanoidi non ragionano, prendono in base ai loro bisogni del momento. Gli umanoidi non hanno progetti, se non quelli che la società detta loro per carpirgli quel barlume di vita vera che sembra essergli stato concesso per pietà. Gli umanoidi non si fanno domande, se non quelle relative alla mera sopravvivenza di loro stessi e della loro dannata prole. Dannata, sì, perchè il Mondo, quello bello, come lo avevo sempre sognato, con Valori, Obiettivi e Persone gli umanoidi lo hanno distrutto contaminandolo con il puzzo del loro respiro affannoso di chi brama senza mai voler dare per fini superiori.

Non fraintendetemi, gli umanoidi potremmo essere tutti noi, ma per fortuna la contaminazione non ha attecchito per tutti… Forse che esiste un vaccino anti-umano, o meglio anti-umanoide? Voi lo conoscete? Gli umanoidi se la raccontano, ed è questo che mi dà più fastidio. Perchè gli umanoidi hanno scelto il velo dell’ignoranza alla luce della conoscenza. Pertanto, battute a parte, l’unico vaccino che possiamo mai scegliere di iniettarci è quello dettato dall’introspezione: ESSERE NOI STESSI, SEMPRE E COMUNQUE, a dispetto della fatica, dei sacrifici e dell’impegno che ciò richiede, mantenendo saldi i nostri valori (soggettivi e universali) nel rispetto delle creature. Si tratta di un vaccino con alte dosi di forza interiore, caparbietà, volontà, determinazione, intelligenza ed un pizzico di buon senso e cuore in parti uguali. Voi che nome gli dareste?

Gnosi, per sempre.

Alla prossima!

La sindrome del lunedì

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Buon giorno e buon lunedì a tutti!

Come avrete notato è parecchio tempo che non vi scrivo, ma rieccomi… Chi mi conosce sa che sbuco nel momento in cui ho qualcosa di impellente da scrivere e, sebbene abbia molto da condividere, in questi mesi ho avuto molto su cui “lavorare”. E, di conseguenza, ora ho abbastanza di cui parlare!

Bando alle ciance veniamo al titolo del post che oggi voglio proporvi. La sindrome del lunedì… Chi ne ha mai sentito parlare? Chi ne “soffre”? Chi la conosce bene oppure a malapena? Chi ha mai usato questo termine nei propri deliri o capolavori verbali? Ebbene, che tu sia ricco o povero, felice o infelice, soddisfatto o insoddisfatto, se ti trovi sul Pianeta Terra in quest’epoca attuale (e cioè alla soglia degli anni 2.000 d. C e seguenti) una cosa è certa: almeno una volta nella vita avrai sentito parlare voci e volti riferiti al “maledetto lunedì”. Girando per città e paesi, vedi volti sofferenti che nemmeno un piagnone, voci piene di aggressività lamentosa, cantilene che nemmeno le litanìe superano, e così via. Il panorama che ci si para innanzi ogni lunedì assume davvero i tratti del tragicomico. Forse più tragico che comico, ma del resto dipende dai punti di vista. Ebbene, perchè tutto questo odio? Perchè tutta questa avversione per ciò che, dopotutto, è un semplice giorno? Perchè?

Personalmente ho risentito di questo che sembra essere uno stato d’animo collettivo, ovvero della sindrome del lunedì, quando ovviamente ero immersa anche io nei ritmi scanditi per le masse, ovvero quando andavo a scuola. Sapete la scuola dell’obbligo, così come tutto ciò che sembra un obbligo (il lavoro, i figli, le istituzioni, la burocrazia, la sanità, etc), è una vera castrazione per l’essere umano; immaginatevi, un’anima eterna sballottata nei ritmi terricoli e materiali di una frenesia che non le lascia spazio per essere, perchè deve accondiscendere ai bisogni di qualcun altro o di qualcos’altro ai fini ultimi della sopravvivenza materiale. Dall’università in poi per me è iniziato a cambiare qualcosa. Forse la percezione, o magari la consapevolezza. Oppure è avvenuta una specie di ampliamento percettivo che mi faceva sentire stretto quel limite del lunedì imposto per tutti. Perchè spesso l’ambiente in cui sei ti fa credere che, per essere normale, e cioè normalizzato, ovvero come tutti gli altri (e quindi terricolizzato), devi agire e pensare come tutti gli altri. E così ti appiattisci e castri ciò che sei, rinunci ad essere te stesso utilizzando come preghiera il maledetto mantra che recita che il lunedì è un giorno maledetto. Ma per me, grazie a Dio o grazie a d’Io, è avvenuta una specie di presa di coscienza; e se il lunedì fosse la proiezione dell’incapacità della maggioranza delle persone di fare i conti con gli “inizi” della propria vita? Se questo giorno fosse in realtà un capro espiatorio, una piccola ma visibile manifestazione di una realtà più profonda che riflette gli irrisolti di molti di noi (e che questi molti di noi non vogliono vedere)? In effetti cosa è il lunedì se non il primo giorno della settimana?! Che colpa ne ha se arriva per primo, quando noi non siamo pronti?

Il lunedì è sempre lì ad aspettarci. Ogni settimana con occhi nuovi. Eppure in tantissimi lo ignorano, lo snobbano, lo maledicono, preferirebbero farne a meno. Ma cosa è la vita senza un inizio? Cosa è la vita senza un lunedì?

Il lunedì, per come la vedo io, è un giorno come tanti altri. Anche gli altri giorno sono, di per sè, neutri. Ciò che dà loro una valenza è lo stato emotivo dei quali li carichiamo. Il giudizio che li appesantisce e li deforma. Li abbruttisce, in un certo senso. Per questo tutto ciò mi porta a riflettere sull’emotività del genere umano che affibbia al lunedì una valenza non reale, che è altresì una proiezione delle loro emozioni basse. Perchè la pesatezza della materia trascina sempre verso il basso.

Come è la nostra vita? Di cosa è fatta la nostra vita? Come sono i nostri lunedì? Secondo me rispondendo a queste semplici domande senza scuse, ma volendo trovare il tempo per guardarsi dentro, troveremo le risposte. Risposte diverse e personali per ciascuno di noi. Che poi non vogliamo ascoltare ciò che queste risposte hanno da dirci è un altro discorso. L’onestà con se stessi però la si conquista con tanto sudore. E con tanta voglia di mettersi in discussione, senza risparmiarsi il dolore; dolore per la volontà di distaccarsi da un sistema marcio che vuole che il lunedì tutti, come bravi automi, la pensiamo allo stesso modo. La consapevolezza passa attraverso il dolore; il dolore della presa di coscienza che è necessario distaccarsi da quelle rassicuranti menzogne che ci hanno fatto credere che il lunedì tutti dobbiamo per forza lamentarci. Ma lamentarci di cosa, se ad ogni nuovo inizio di settimana possiamo davvero trovare nuove opportunità?

Eppure forse proprio in questo sta il dilemma: la novità e la prontezza (due qualità imprescindibili per un lavoro che si rispetti su di sè). Sappiamo avere occhi nuovi? Abbiamo sviluppato questa qualità che ci permette di trovare l’inaspettato? Abbiamo sviluppato la presenza per poter vedere ciò che abbiamo sotto gli occhi e che è nuovo ogni volta? Siamo pronti per cogliere la vita? Sappiamo cogliere la vita? E con essa il significato del lunedì, per ciò che è?

Di nuovo buon lunedì a tutti, alla prossima!

Cosa resta dopo la soddisfazione?

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Buon giorno a tutti!

L’uomo, si sa, è quella creatura tanto decantata per il fatto di essere eternamente insoddisfatta da essere praticamente irripetibile per questa sua caratteristica psichica un po’ strana che lo conduce inevitabilmente all’infelicità; dopo la realizzazione o soddisfazione di un desiderio si butta a capofitto sul desiderio successivo, chiedendo e chiedendosi sempre di più… Il risultato? A mio parere una domanda che ognuno di noi dovrebbe porsi! E cioè: cosa resta dopo la soddisfazione di quel tanto agognato desiderio?

Che sia il desiderio il problema? A tal proposito è doveroso ricordare che una tale questione è già stata sollevata dal buddhismo, il quale identifica nel desiderio il procedere di ogni pena umana (dal dolore, all’afflizione e a tutti gli altri sinonimi che fanno capo al disagio e al malessere sperimentati dagli esseri umani). Il desiderio, nella sua accezione di “brama”, “smània”, e soprattutto attaccamento ad un qualcosa che non si ha ma che si vorrebbe, costituisce forse per l’uomo l’illusione di poter essere felice una volta che questi abbia raggiunto ciò da lui tanto agognato. Ma le cose stanno davvero in questo modo? O forse sarebbe opportuno focalizzarsi anche su quale stato emotivo accompagna i nostri desideri, nonchè la fonte dalla quale sgorgano?

Personalmente credo che non vi sia nulla di male nel desiderare, di per sè. Il punto è che noi esseri umani non desideriamo mai in maniera semplice! Mi spiego: il desiderio fine a se stesso non esiste se non per i bisogni primari quali: mangiare, bere, dormire e respirare, i quali ciclicamente si ripresentano. Quando respiro per rimanere in vita, e quindi per il solo fine di respirare, ho risposto ad un mio desiderio primario ed essenziale; in questo non può esservi dolore. Quando bevo (acqua) per il solo bisogno di dissetarmi, pur sapendo che a distanza di qualche ora il mio corpo reclamerà ancora acqua, non provo dolore per questo, ma sto nel momento consapevole che quel bisogno vitale mi serve per sopravvivere. Il problema a parer mio si presenta quando dal dissetarmi passo al diventare alcolizzato; e cioè passare da un bisogno vitale ad un bisogno indotto che viene interiorizzato con l’illusione di essere vitale. Ed il passo è più automatico di quel che si pensi… Un desiderio che non è più fine a sè stesso viene riassunto in una famosa quanto infelice frase: “bere per dimenticare”! Bere, ed in questo caso non si tratta certo di acqua, ci porta a desiderare l’effetto che questa azione comporta e a volerne sempre di più. L’illusione consiste nel dimenticare (che cosa puoi voler dimenticare, se non la tua vita non vissuta, povero terricolo?!); è mai possibile che non si beva solo per bere, o per rispondere ad un bisogno di sete del corpo? No, perchè dopo aver abituato il corpo a queste aberranti dinamiche psichiche del “bere per dimenticare” ci convinciamo che l’alcol anestetizzi per un momento i nostri sensi dalla vita, rappresenti un cuscino morbido sul quale dormire sogni tranquilli. E quando non c’è facciamo i capricci, sino a convincerci di non poterne più fare a meno!

Tuttavia l’esempio del bere può essere applicato a tantissimi altri desideri: il desiderio di avere una bella macchina ad esempio, perchè la macchina è uno status-symbol del benessere economico che una persona, potendosela permettere, fa vedere agli altri chi è e dove può arrivare… Il desiderio di viaggiare, il desiderio di restare sempre giovani e tonici sfidando, nell’illusione di potersene far beffa, la forza di gravità e le millenarie leggi universali che da sempre  e per sempre ci accompagnano pazientemente e ciclicamente alla nascita-crescita-degradazione-morte. Perchè l’uomo terricolo (per chi legge per la prima volta questo termine chiarisco che con esso identifico la massa di persone che, tra gli esseri umani, non si distingue perchè, come tutti gli altri dello stesso gruppo è attaccata ai bisogni che questa terra gli induce, senza riuscire a vedere e a voler scorgere più in là di quanto viene posto ad essa dinanzi agli occhi), ebbene l’uomo terricolo vuole solo starsene tranquillo nelle menzogne che la società gli propina. Vuole avere la sicurezza economica, affettiva, senza però fare i conti con la vita vera, la quale di sicurezza non prevede nemmeno l’ombra! Il terricolo vuole viaggiare chissà dove, magari (e ciò avviene spesso) per scappare da se stesso, e quando finalmente quel se stesso incazzato gli si para innanzi a batter cassa, il fuggitivo cerca un altro posto dove andare per evadere dalla morsa della propria coscienza ignorata, non vissuta e che non ha nemmeno intenzione di vivere. L’uomo terricolo vuole soddisfarsi in questo modo, e cioè in un modo che è pieno di bisogni indotti dalla società, che fomenta illusione dopo illusione, che alimenta un gioco malato che imprigiona sempre più l’uomo sino a risucchiargli il germe dell’anima che egli stesso non si è concesso di vivere…

E’ questo che volete per voi stessi? Divenire dei terricoli eternamente insoddisfatti e inseguire ciecamente e perennemente bisogni che non sono vostri perchè sottostate ad un gioco che vi dà l’illusione di sicurezza e felicità? Eppure quante persone sento e vedo che si accontentano dell’illusione della felicità… Quanta gente ha come unico scopo quella di diventare un terricolo a tutti gli effetti, illudendosi che imprigionandosi sempre di più nelle meccaniche materiali sia la libertà, semplicemente per il fatto che non riesce più a distinguere il vero dal falso, il bianco dal nero, il bene dal male!

Del resto è soprattutto una questione di mentalità: come avete educato la vostra mente, essa agirà di conseguenza. Non può che essere altrimenti.

Cosa resta dunque dopo la soddisfazione? Nulla, se non la dipendenza dal sistema! Perchè è solo cambiando modo di ragionare, solo ribellandosi al pensiero comune e appiattito, solo uscendo dal livellamento sociale di chi ti dice che per stare bene devi essere in un certo modo purchè tu spenda (soldi, energie, tempo, vita) non per te stesso, ma per gli altri (il punto è che l’illusione funziona facendoti vedere esattamente il contrario della realtà), solo in questa ottica che ribalta il mondo là fuori che possiamo sperare di poter essere di più che dei terricoli che sopravvivono in un mondo e che vengono tenuti in vita da strane energie che si alimentano a loro discapito.

Spero che oggi le mie parole vi diano una diversa prospettiva su cui vedere il posto dove vivete, senza pretese.

Alla prossima, buona giornata!

Lo spregevole quanto comune “caso” in cui… CI SI APPROFITTA DELLE PERSONE

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Buona sera a tutti,

finalmente ritorno dopo una lunga assenza sul blog, assenza che sinceramente mi è pesata. Scrivere mi piace, così come lo è anche il fatto di poter esprimere me stessa, le mie idee ed intuizioni tramite la scrittura, nonchè poter condividermi e confrontarmi con altre persone. Per me sono stati mesi di prove e di duro Lavoro su me stessa (perchè del resto quali sono i momenti in cui non lo è?!) e sulle mie relazioni. Per non parlare del tema salute. Se ci pensate però è tutto connesso… E voi cosa avete combinato in questi mesi? Ho notato con piacere che ci sono stati tanti lettori nuovi provenienti da nuove parti del mondo e anche diverse interazioni, il che non può che farmi immenso piacere!

A parte questa breve introduzione oggi ritorno per parlarvi di un tema che in questi mesi ho avuto modo di sviluppare appieno su me stessa e che ho vissuto in maniera particolare. Oggi, udite udite, si parla di quando le persone approfittano di voi! Diciamo che una premessa va comunque fatta: di base sono una persona a cui piace rendersi disponibile perchè se posso mi sento utile quando posso aiutare qualcun altro. Spesso nel dubbio non dico di no “quando il dovere chiama”; e già questo è terreno fertile per molti “approfittatori”. Allo stesso tempo non mi sento vittima, nel senso che molto di rado do la colpa agli altri per quanto fanno (e quando lo faccio in effetti ce l’hanno davvero), tendo piuttosto ad andare avanti sempre e comunque indipendentemente da dove proviene l’errore, e a colpevolizzare me stessa nei casi estremi; questo per dire che, a scanso di equivoci, prima di scrivere qualche fregnaccia, mi sono ben osservata e da qual che ho capito di me stessa, non sono una persona che scarica le colpe, nè tantomeno una che si lamenta. Anzi, mi ritengo molto responsabile, spesso prendendomi anche colpe/pesi che non sono miei, forse perchè mi piace l’autonomia e detesto chi si piange addosso o cerca commiserazione da parte di altri. Ebbene, voi invece che tipo di persone siete? Perchè da chi siete può emergere un interno universo, sapete?!

Ora, a parte le polemiche che sinceramente lasciano il tempo che trovano, voglio farvi riflettere su chi obiettivamente approfitta di voi: ovvero su quelle persone che, dopo avevi “pesato” (ma anche non necessariamente dopo averlo fatto), scelgono di usarvi per i loro comodi. Già, perchè approfittare non significa semplicemente cogliere il momento opportuno, l’occasione propizia o quello che volete voi, bensì, quando è riferita alle persone, implica soprattutto una certa dose di faccia tosta che l’approfittatore sfodera come la sua faccia normale, mettendo a tacere qualsiasi norma etica o morale. L’approfittatore, dopo aver dato per scontato che voi accondiscerete alle sue richieste e/o ai suoi bisogni, prima ci prova, poi rincara sempre di più la dose di richieste. Perchè tanto sa che non lo potrete deludere. Perchè sa che, se lo deluderete, in realtà starete male voi (che avete un’anima a cui date ascolto), non lui (che un’anima non sa nemmeno cosa sia)! Avete capito come agisce l’approfittatore? Non vi ricorda una figura che già vi ho presentato tempo addietro? Dai che ci siete! Si, è proprio così somigliante al vampiro energetico, che in effetti può rientrare a pieno titolo in questa categoria. C’è anche chi comunque è stato educato in famiglia o dalla società ad essere approfittatore e comportarsi come tale, che non si rende nemmeno conto di esserlo (diventato). E mi verrebbe di spezzare una lancia a favore di queste persone, dicendo che non è colpa loro se sono stati educati così… Ma l’epoca dell’inconsapevolezza è finita per me. E deve finire. E’ ora di smetterla di affermare che tu sei il prodotto della società. Una merda è il prodotto della società, si, possiamo affermarlo. Ma gli esseri umani (oso sperare) sono ben più di una merda, a meno che non decidano di rendersi tali!

E ora torniamo a noi. O meglio agli approfittatori. Ti chiedono cose che tu non puoi rifiutare. Possiamo spostare questo appuntamento? Possiamo vederci un altro giorno? E guarda caso te lo dicono quando tu ormai ti sei già preparato e sei davanti alla loro porta, nei casi migliori. Nei casi peggiori ti possono anche dare buca, farti attendere senza degnarti di un messaggio che avvisa che non ci sono. O farti aspettare per giorni prima di darti uno straccio di risposta. Tu li cerchi, e loro si fanno bellamente i cazzi loro senza degnarti di una minima attenzione. Tutto dovuto? Semplice maleducazione? Non solo…

La mentalità dell’approfittatore oltre ad essere arrogante, perchè si prende spazi non suoi, è maleducata. Educata male perchè non educata nel rispetto dell’altro come persona. Dove sta scritto che, dopo essersi messi d’accordo uno possa rompere quell’accordo perchè così gli va, o perchè non si ricorda, o per qualche altro motivo? I bisogni dell’approfittatore, così come i suoi impegni, vengono prima dei tuoi, sappilo. Ecco che l’approfittatore è salito di un gradino sopra di te. Occhio, ti mangia i gnocchi in testa! L’approfittatore prende cose che non gli spettano: tempo, cose, denaro, affetti… Se tu glielo permetti. Ma se al mondo esistono gli approfittatori è anche lecito supporre che vi siano degli eroi pronti a combatterli. E sconfiggerli. Come? Non assecondando questi pazzi (gli approfittatori, intendo).

Mettere nero su bianco le cose, e cioè farsi rispettare, è un diritto e in casi estremi anche un dovere, qualora non venga rispettato come diritto. Perchè esistono gli approfittatori? Perchè abbiamo permesso loro di entrare nella nostra vita e di gestirla. Ma non possiamo! Non possiamo dare in mano la nostra vita a chi vuole fare i propri comodi. E’ un lusso che non possiamo permetterci, se vogliamo vivere nel vero senso della parola. Se siamo entrati nel gioco sporco dell’approfittatore dobbiamo imparare ad uscirne. E alla svelta. Non sta scritto da nessuna parte che bisogna sempre e comunque accondiscendere a favori che non si vuole fare. Ognuno ha il diritto di rifiutare cose e soprattutto atteggiamenti, a maggior ragione se si percepisce che chi ci rimette siete voi! E l’atteggiamento dell’approfittatore è arrogante e diseducativo. Insomma, per me va punito. Punito da chi ha permesso che accadesse. Se anche tu sei caduto nel gioco di un approfittatore te ne devi liberare. Ne devi uscire. E magari, se necessario, punire quel suo atteggiamento con la tua ricchezza d’animo, ridimensionando quel gonfiore malsano che ha fatto crescere a dismisura l’inumano approfittatore.

Insomma, che l’Eroe si faccia vedere per ciò che è manifestando la sua Forza Interiore e decretando il Rispetto che merita. Farsi valere significa dire ESISTO ANCHE IO, NON PERCHE’ SONO A TUO SERVIZIO, MA PERCHE’ SONO A SERVIZIO DEL MONDO CHE MI E’ STATO DONATO E DEL QUALE SIA IO CHE TE FACCIAMO PARTE. E CHE VA ONORATO. Onorare il mondo e chi ne fa parte significa portare rispetto per il mondo e per chi ne fa parte. Ma senza farsi sottomettere da chi vuole fotterti! Tutti, per il solo fatto di vivere sulla Terra siamo sulla stessa barca; ovvero, non vi sono vincitori, ma tutti schiavi all’interno di un pianeta-prigione che possono riscattarsi diventando Eroi. Perchè dimenticare la fratellanza, e il senso del servizio? Perchè ignorare le regole del mondo, quando sono queste ultime che ti fanno capire il mondo stesso e chi sei?

Io credo che per rendere il mondo un posto migliore ne servano molti di questi Eroi! Eroi umili perchè sanno il posto che devono occupare sulla Terra.

Alla prossima.

Lo spregevole quanto comune “caso” in cui… L’ABITUDINE VIENE SCAMBIATA PER SICUREZZA

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Buongiorno a tutti,

sappiamo, se abbiamo interrogato più volte la realtà, che le certezze a questo mondo non esistono. La sicurezza a questo mondo NON esiste. Guardatevi attorno per avere una conferma: ogni giorno siamo tutti sottoposti alle stesse leggi che governano il pianeta, la forza di gravità ne è un esempio. Non prendetemi per catastrofista, ma ogni giorno siamo sottoposti ad una serie di pericoli che potrebbero sfociare, nel peggiore dei casi, con la nostra morte. In effetti, potremmo venire investiti da un’auto, intossicati dal fumo di una casa che sta andando a fuoco, avvelenati dall’acqua dell’ acquedotto, prendere un colpo alla testa a causa di una tegola volante di qualche tetto sgarruppato, fare un incidente stradale, venire avvelenati dal cibo o dall’aria stessa che respiriamo. E chi più ne ha più ne metta…

Il mondo funziona in base a cosa, quindi? Non credete che forse sia la fiducia il motore della nostra vita su questo pianeta? Una fiducia consapevole dell’inconsistenza delle cose e della mancanza di certezze. O forse pensavate di vivere alla giornata in base a quello che “capita” là fuori? Cosa significa realmente vivere alla giornata? Perché è possibile vivere il momento in maniera consapevole o inconsapevole; e sinceramente preferisco di gran lunga la prima modalità! Del resto che vita è quando delego tutto all’esterno, non da ultimo persino i sentimenti che provo? Che vita è quando tutto dipende dall’esterno e tu vivi in funzione degli altri? Che vita è quando ci si regala all’abitudine buttandosi nella mischia degli ignavi? Che vita è una vita senza una propria volontà? Ma soprattutto la volontà può da sola essere foriera di certezze?

Ebbene, abbiamo visto che la volontà, o meglio avere una propria volontà è “roba per pochi” perché la vera volontà, lungi dall’incaponimento e dall’ostinazione, è una qualità che si sviluppa assieme a fiducia e pazienza. La vera volontà si traduce in risultati ed incarna una forza; forza consapevole della realtà che muta. L’ostinazione, al contrario, ci parla di attaccamento ad un risultato o ad un modus operandi che ormai ha preso una vita propria e che ignora la realtà delle cose in continuo mutamento. La volontà è quella qualità che non muore al cambiare della realtà attorno a noi, ma che anzi, trovando un senso e un obiettivo a cui aspirare con tutta se stessa, lo persegue con creatività, determinazione e quando serve la giusta dose di flessibilità (detta anche spirito di adattamento o duttilità, se preferite). La vera forza di volontà non ha paura dell’incertezza perché sa che tutto è incertezza e che la trasformazione da incerto a certo solo noi la possiamo attuare, con la nostra forza interiore e nel rispetto di ciò che è più grande di noi, che ci indica a sua volta se è nostro destino compiere determinate “missioni” oppure no.

Detto ciò arrivo al titolo di questo post: lo spregevole quanto comune caso in cui l’abitudine viene scambiata per sicurezza. Ebbene, voi che rapporto avete con le vostre abitudini? Riuscite ad identificare le più radicate in voi stessi? Riuscireste a cambiarle, ossia a togliere un’abitudine e inserirne un’altra diversa? Ad esempio, se siete come me golosi di cioccolato e non riuscite a non mangiarne almeno un pochino al giorno, riuscireste a sostituire ad esso una tisana, più salutare e meno “abitudinaria” o quello che volete voi che possibilmente sia sano? Personalmente il cioccolato mi dà una appagante sensazione di calore, dolcezza, tenerezza, e non da ultima una certa sicurezza. Infatti sono sicura che ogni volta dopo averne mangiato un pezzettino la mia gola si sente meglio e io mi sento quasi più felice. Alcune abitudini però sono deleterie… per questo si è giunti a distinguere le buone abitudini dalle cattive abitudini. Ma non dimentichiamo che si tratta pur sempre di abitudini, e che in quanto tali tendono a dimenticarsi del naturale mutamento che la realtà ci propone SEMPRE, sostituendo a questa comprensione il controllo! L’abitudine è tanto radicata quanto più siamo sicuri di ottenere un risultato in termini di appagamento o convinzioni: e più otteniamo quel risultato che ci aspettavamo, più quell’abitudine si rafforza. Più riesco ad avere il controllo di quell’abitudine, più confermerò il suo successo e quindi il potere di quest’ultima nei miei confronti. Perché l’abitudine è qualcosa che lega in maniera malata. Dunque capite come il meccanismo dell’abitudine prenda in causa anche il concetto di aspettativa e di controllo… Se l’aspettativa viene riconfermata viene riconfermato anche il funzionamento dell’abitudine che quindi scambiamo per successo, quando in realtà non è altro che rinchiudersi in una prigionia. E siamo portati a voler perpetrare il successo convinti di averne il controllo, quando in realtà ne siamo succubi!

Si perché ci imprigioniamo nelle abitudini, certi di aver successo. Pur di non cambiare un centimetro di ciò che fanno per paura di fallire tante persone si costringono a fare lavori che detestano, perché ormai l’abitudine impedisce loro di vedere le opportunità e anzi li fagocita in un mondo in cui il controllo del poco al quale riescono ad attingere rappresenta un sogno avveratosi. Eppure questo accecamento volontario viene scambiato per successo. Prendiamo come esempi anche la coppia nel bisogno o gli amici nel bisogno… La coppia nel bisogno ha sviluppato quelle abitudini che le consentono di sopravvivere ma non di crescere; crescere infatti potrebbe minare il rapporto (come del resto avviene con qualsiasi evoluzione, perché evolversi implica crisi), e così la coppia nel bisogno magari arriva a litigare in mezzo ad un gruppo di persone come se si dovesse lasciare da un momento all’altro per poi ritornare ad essere la coppietta che tutti si aspettano da essa tutta luce, amore e panini imbottiti… Gli amici nel bisogno allo stesso modo si riconoscono perché di fatto hanno entrambi bisogno l’uno dell’altro, e finché permane questo stato di interdipendenza va tutto bene tra gli alti e bassi abitudinari. In questo modo quindi la coppia nel bisogno viene magari vista dagli occhi inconsapevoli come la coppia del “vero amore”, e così gli amici nel bisogno vengono scambiati sempre dallo stesso occhio non vedente come gli “eterni veri amici”. Quando in realtà nell’abitudine, di vero c’è ben poco. Perché verità  certezza non vanno a braccetto perché l’unica verità che potremo mai conoscere su questo pianeta è quella dell’incertezza.

E comunque voi, come vi trovate nelle vostre abitudini? Siete stufi di esse? Siete pronti a cambiarle? O perlomeno a riconoscerle per ciò che sono e prenderne distanza? Vi riconoscete il bisogno di controllo della realtà?

Alla prossima!

 

JUMANJI 2 – Benvenuti nella giungla (umana)…

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Buongiorno a tutti,

e benvenuti in questo nuovo anno! In effetti questo è il primo post dell’anno che mi ritrovo a scrivere, e sono contenta di poterlo fare con il pretesto di recensire/commentare questo film, visto di recente al cinema.

Che vi piacciano i film d’avventura o semplicemente crediate che la vostra vita sia essa stessa un’avventura non del tutto priva di senso, allora il film in questione potrebbe davvero sorprendervi, perché questa pellicola contiene molti messaggi subliminali per chi è propenso a coglierli. Partiamo… dall’inizio! Tutto ha inizio per gioco quando un adolescente tipico degli anni ’90 (per l’esattezza è il 1996) trova la scatola di un gioco, Jumanji appunto, e la apre. In quel momento è come se avesse aperto un portale per un altro mondo nel quale viene risucchiato. Ed è a questo punto che ha inizio la duplice vita fatta di mondi paralleli: quello del gioco, dove il ragazzo interpreta il personaggio che ha scelto di “giocare”, e quella della realtà che vede una casa in rovina e il padre del ragazzo sconvolto dalla misteriosa scomparsa del figlio… Già qui viene da chiedersi: qual è la vera realtà?

Domanda che, però, nel film (che va di per sé molto veloce) viene scalzata dagli avvenimenti della quotidianità dell’epoca attuale di riferimento, ovvero gli anni 2016-7. Perché anche a Jumanji, come in qualsiasi mondo parallelo che si rispetti, le coordinate spazio-temporali sono sovvertite al punto che regna l’eternità: il tempo non passa mai e i personaggi non invecchiano. Passati vent’anni nell’epoca attuale per il mondo, sino a ritrovarsi nel 2016-7, quattro adolescenti più o meno ribelli (perché ognuno manifesta la propria ribellione contro un ordine a proprio modo, dalla ragazzina vanitosa che vive nel mondo di Instagram, al secchione sfigatello di turno che viene punito per aver passato un compito in classe ad un “amico”, passando per la studentessa intelligente che esprime un po’ troppo bruscamente i propri giudizi sulla sua insegnante di educazione fisica) si ritrovano in punizione a scuola. Dovranno spulciare delle riviste togliendo a queste i punti metallici… Ma secondo voi ce la faranno? Beh ce la farebbero se fossero tutti diligenti e rispettosi delle regole, ma, come sempre accade, chi manifesta queste caratteristiche in età adolescenziale nella quale vige l’imperativo del divertimento? I ragazzi dopo poco tempo dall’infame incarico si imbattono in un fossile: il videogioco di Jumanji e, guarda caso, decidono di metterlo in funzione. Risucchiati nell’altro mondo scoprono di aver assunto le sembianze dei personaggi che hanno scelto e qui inizia il divertimento…

La ragazzina vanitosa ha scelto i panni di un dotto professore sovrappeso, uomo, con gli occhiali, la barba e che molto si discosta da qualsiasi canone di bellezza a lei conosciuto (e questo personaggio è davvero spassoso, non solo per le battute ma proprio per il percorso che fa all’interno del mondo parallelo). Gli altri si ritrovano in altri corpi e qui il gioco si fa interessante: non vi ricorda nulla di strano? A me fa venire in mente la questione della reincarnazione, con la sola differenza che i personaggi si ricordano perfettamente chi sono, quali sembianze avevano prima di incappare in Jumanji e conservano la loro personalità senza ombra di dubbio… All’interno del gioco tutti i personaggi fanno un percorso di crescita del tutto esperienziale (e come potrebbe essere altrimenti, del resto?), vengono in pratica sottoposti ad una moderna prova di iniziazione che li vede uniti in una missione: riportare il gioiello della giungla che era stato rubato all’interno di Jumanji al posto che gli spetta, allo scopo di scongiurare la maledizione che li tiene prigionieri di quel gioco. Il cattivo, infatti, è costituito da colui che, volendosi impadronire della preziosa pietra che gli permette di avere il controllo e il potere sul gioco, non vuole permettere ad altri di passare attraverso di esso (per evolvere?). Il cattivo è chi vuole intrappolare gli altri e che vuole il potere solo per sé. Chi vuole comandare e asservire gli altri, lasciandoli sempre al livello in cui sono; interessante notare che il gioco-missione al quale si sottopongono i protagonisti è, come tutti i giochi e videogiochi, soggetto alle regole dei livelli e quindi per passare a quello seguente, più difficile, occorre superare le prove… Anche qui, ecco un’altra metafora della vita.. Interessante notare che le prove (così come nella finzione ma soprattutto nella vita), lo ribadisco, sono tutte esperienze da fare, comprendere e superare. E chi ha orecchie per intendere, intenda!

Nel dipanarsi delle vicende del gioco i quattro adolescenti incontrano un personaggio “bloccato” e cioè il protagonista che all’inizio si avventurò da solo in Jumanji nel lontano 1996 per le coordinate spazio-temporali terrestri. Insieme questi ragazzi scopriranno la forza, ma anche il significato che la divisione e l’attaccamento ai propri interessi egoici può causare. Il loro percorso di crescita, insomma, ha inizio e fine proprio nel mondo parallelo che nella pellicola è Jumanji, ma che nella nostra realtà del 2018 è costituito da ben altro…

A voi scoprirlo, e, se volete, fatelo pure con divertimento come ho scelto di fare io questa volta in maniera del tutto inconsueta ma comunque risvegliante, andando a vedermi questo film.

Alla prossima e buona visione!

Desideri pilotati

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Buongiorno a tutti,

approfitto del periodo in cui ci troviamo, ovvero la fine di questo 2017 per parlare dell’argomento “desideri”. Già perché, non so voi, ma io ogni anno giusto per commemorare la fine di un ciclo e l’inizio di uno nuovo, mi ritrovo a fare la somma dei desideri che mi ero prefissata di realizzare durante l’anno e ciò che effettivamente ho realizzato. E scrivo tutto nero su bianco, onde evitare che la mente mi giochi brutti scherzi (sapete io e la memoria non andiamo molto d’accordo), per cui un supporto cartaceo mi serve… Voi lo fate mai? Avete questa abitudine di scrivere dei desideri da realizzare nel corso dell’anno oppure la reputate una specie di fantascienza?

Beh, quello che si scopre e che si mette in moto con i desideri ho avuto modo di scoprire che è davvero sensazionale! Innanzitutto viene da chiedersi quanti e quali desideri sono REALMENTE NOSTRI e quanti e quali siano invece dei condizionamenti (nonché dei desideri pilotati). Se partiamo da questo punto abbiamo praticamente il nodo della questione fra le mani, e non sempre è una cosa positiva… Direi anzi che rispondere a tale questione è abbastanza complicato, per quanto fondamentale sia! Pertanto se vi accontentate di “vivere alla giornata” vi auguro che abbiate la fortuna dalla vostra parte. Per i più temerari e responsabili invece offro l’invito a proseguire nella lettura.

In effetti cosa accade quando scopriamo che un desiderio è realmente nostro e di nessun altro? Quando cioè sentiamo un impulso irresistibile che ci parla di inevitabilità di una scelta, di una vocazione? Avete mai sentito dentro di voi una voce che vi spinge a fare qualcosa che solo voi in quel momento potete e dovete fare? Spesso è una voce che si erge contro ogni regola e ogni logica dell’uomo medio e che tuttavia si pone in armonia con le leggi dell’Universo, contenitore e collettore di anime… E’ una voce che ha una precisa funzione, ovvero quella di spingerci ad agire come il nostro spirito comanda. Per capire che un desiderio è realmente nostro non basta sintonizzarsi con la propria coscienza, bensì anche calare lo spirito nella materia, ovvero sintonizzare la coscienza con la materia. E qui viene il bello, perché quando si tenta di calare lo spirito nella materia ci si appresta a concretizzare una manifestazione, la realizzazione di qualcosa… Cosa avete realizzato nel 2017? Cosa siete riusciti a fare e cosa invece avete rimandato o non siete riusciti a fare? E’ importante farsi queste domande e soprattutto fare il punto della situazione. Perché la nostra vita non è illimitata e su questo piano di coscienza abbiamo uno spazio determinato e un tempo limitato entro il quale agire; dopo e al di fuori di essi, tutto diventa inutile e inopportuno. Un po’ come a dire che tutto va fatto in presenza, coscienti di chi si è, di dove si è, e del periodo storico in cui si è. E quando si entra in possesso di queste coordinate non si hanno più dubbi sul fatto di discernere un desiderio reale da un condizionamento. Voglio un cellulare nuovo: bene, perché? Semplicemente perché ce l’hanno tutti e se non hai l’ultimo modello di IPhone sei escluso dal mondo e dai suoi abitanti (condizionamento)? Cerchiamo di fare distinzione tra apparenza, sostanza e funzione. Molti si limitano all’apparenza e spesso non giungono a scoprire la sostanza. Nel mezzo sta la funzione: importante pezzo del discernimento, la funzione ci pone in contatto con il fatto di “rendere e rendersi strumento” di qualcosa di più grande. Allora si ragionerà in modo che “il cellulare mi serve per…” sino ad enumerare obiettivi più o meno etici, consoni e adatti a chi li esprime. Ma almeno in questo cerchiamo di essere sempre coerenti ed onesti nel chiamare le cose con il loro nome, sia che si tratti di bisogni, di desideri, o di capricci. E’ il punto di partenza che ci serve davvero a definire la nostra identità, in base a ciò che desideriamo e al motivo per cui lo facciamo…

Quindi, per favore, almeno per quest’anno lasciamo da parte i luoghi comuni che si chiamano buoni propositi, e dirigiamoci verso i desideri e la loro realizzazione, insomma qualcosa da grandi/adulti (che realizzano desideri), non da adolescenti dell’evoluzione (che, al contrario, sono pieni di capricci e bisogni)! Perché non c’è nulla di più affasciante di ciò che è stato completato e nulla di più affascinante di un desiderio che si erge a funzione dello spirito. E che, nella sua semplicità, viene realizzato.

Alla prossima!